Eccola
Orvieto.
Nella
valle del fiume Paglia il battello di tufo naviga sulla canopea dei
boschi sottostanti. La facciata del duomo è come una vela aperta al
vento e a tratti, il mosaico dorato brilla, ma è forse solo un
sogno.
Dalle
colline si scende verso la città bassa “Orvieto scalo”. È qui
che tutta l”animazione dell'attivo commercio umano si concentra.
Fabbriche, supermercati, distributori di benzina (innumerevoli), code
ai semafori.
Ma basta lasciare il tracciato di autostrada, ferrovia,
fiume e, risalendo verso la città antica, ci si ritrova tra le vie
medievali e i palazzi di pietra.
Anche qui i quartieri sono animati,
almeno le vie più passanti, ma non come in basso. Turisti che
passeggiano con il naso per aria e che sembrano attirati verso un
punto preciso, alla fine della salita.
Sì,
perché, a parte il “pozzo di san Patrizio”, le enoteche che
propongono i vini della regione, tra i quali il bianco che prende il
nome dalla città,
un solo monumento spinge i visitatori a risalire la rocca.
Lassù
infine, prima a tratti, poi più precisa, appare la grande fabbrica
del duomo.
Una struttura assai semplice, con il bianco e il nero
della pietre che scandiscono le pareti uniformi e sembrano
alleggerirla.
Ma
davanti c'è la sorprendente e splendida facciata.
È proprio qui che
gli artisti hanno concentrato lo sfoggio della loro maestria in
un'opera unica.
In realtà anche sui fianchi delle nicchie d'angolo
accolgono qualche scultura ma lo sguardo è prepotentemente attratto
dalla ricchezza dell'iconografia della facciata.
Statue in marmo,
bassorilievi, statue in bronzo, mosaici. Al centro un prezioso rosone
ricamato con maestria e circondato da nicchie con altre statue di
apoostoli e di profeti.
L'interno
è anch'esso sottolineato dall'alternarsi di pietre bianche e nere.
Ed anche il soffitto delle tre navate è lasciato con le travi
apparenti. Come se si fosse voluto semplificare al massimo lo spazio
architettonico per mettere in valore le orere che esso conserva. E le
opere da ammirare sono veramente molte:
dalla Madonna di Gentile da
Fabriano alla fonte battesimale, al trecentesco cancello in ferro
battuto, dagli altari marmorei alla vetrata policroma di Giovanni di
Bonino da Assisi.
Tra
le numerose opere spiccano gli affreschi della Cappella Nova.
Il Giudizio Universale di Luca Signorelli, la vela dei profeti e il
Cristo giudice del Beato Angelico.
L'artista
orvietano Ippolito Scalza, capomastro
del duomo, è senz'altro meno
conosciuto. È qui l'autore
del magnifico organo monumentale e soprattutto della Pietà, scolpita
nel 1579.
Un'opera
che spicca per la sua forza espressiva. Maria piange mentre leva
la mano sinistra in un gesto quasi di collera. Nicodemo,
che ha aiutato Giuseppe
d'Arimatea a deporre il corpo di Gesù dalla croce,
aggrotta la fronte quasi perplesso di fronte all'accaduto.
Con una
mano tiene il martello e la scala che ha usato per schiodare
il crocifisso mentre nell'altra ha i chiodi e la tenaglia, arnesi di
una materialità concreta che contrastano con il dramma sovrumano che
si è appena prodotto. Affranta dal dolore, più della madre del
Cristo, è Maria Maddalena
che cerca un'ultima carezza da una mano che sembra gonfia dal
supplizio sopportato.
Con l'altra sua mano sorregge teneramente il
piede del defunto; un dettaglio di un essenziale realismo.
Ci torno sabato prossimo. E non vedo l'ora.
RispondiEliminaAllora buon soggiorno!
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