Lo storico francese Pierre Milza, morto a Saint-Malo il 28 febbraio all'età di 86 anni.
Il padre era un operaio italiano, nato in provincia di Parma ed emigrato in Francia in cerca di lavoro. Laureatosi in Storia e poi in Lettere, Pierre Milza ha insegnato la Storia contemporanea all'università. La sua bibliografia è estremamente ricca e abbraccia epoche diverse, ma due temi hanno, più degli altri, interessato le sue ricerche: l'emigrazione italiana in Francia e il fascismo, quello di ieri e quello contemporaneo. Nel 2003 è stato pubblicato in Italia Europa estrema. Il radicalismo di Destra dal 1945 a oggi. Milza vi analizza con precisione l'evoluzione dell'estrema destra, sottolineandone l'eredità con il fascismo storico ma anche, e soprattutto, le differenze, non per attenuarne la minaccia e la pericolosità ma per sottolineare la necessità di evitare anacronismi e per trovare strumenti nuovi per contrastarla. Un argomento quanto mai di attualità e che purtroppo, per fatti di cronaca e per lo spazio che questa destra è riuscita a monopolizzare nel panorama mediatico, occupa il dibattito politico con termini perlomeno discutibili e contestabili, tra banalizzazione e condiscendenza.
Evidentemente anche il tema dell'emigrazione (qualunque sia il termine che si vorrà utilizzare : profughi, clandestini, rifugiati) è al centro dell'attualità. E spesso i due temi si incrociano considerando che per alcuni l'uno è la conseguenza dell'altro.
Ma l'emigrazione non è una novità del mondo contemporaneo, al contrario, essa è il destino comune dell'umanità. Come dice lo scrittore Pino Cacucci : Le radici sono importanti, nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove.
I libri di Pierre Milza si focalizzano sul fenomeno dell'emigrazione italiana in Francia ma indubbiamente, raccontando quell'epopea, mettono in luce aspetti comuni ad altre esperienze, sfatando stereotipi e luoghi comuni, dando tangibilità alle vite di quegli uomini e quelle donne che non sono stati accolti sempre a braccia aperte, come si racconta spesso, ma che hanno dovuto subire pregiudizi, razzismo e anche violenza (ricordiamo il massacro di Augues-mortes nella regione di Marsiglia nel 1893), e che hanno dovuto battersi per essere accettati. I giornali francesi dell'epoca evocavano la “ferocia” degli italiani, il loro “spirito sanguinario”, la loro “perfidia”.**
Tre milioni e mezzo di discendenti di Italiani vivono oggi in Francia. Che siano nipoti di emigrati politici – quelli dell'epopea garibaldina o del fascismo -, o eredi degli operai della Lorena, dei minatori o dei venditori ambulanti, venuti dalle periferie o stabiliti lungo la Costa Azzurra, contadini del Gers o artigiani parigini, formano la grande famiglia dei Ritals***.
Da centocinquant'anni, la loro sorte intreccia inestricabilmente due patrie, due sensibilità spesso difficili da associare et, soprattutto, il sentimento unico di esseri liberi, sempre in partenza per un universo popolato di ricordi d'infanzia o di immagini raccolte sul filo dei ritorni.
Così dice la quarta di copertina di Voyage en Ritalie, pubblicato in Francia nel 1993. Un libro ricco di umanità, quella incontrata durante il “viaggio” ma anche quella dello storico che ha saputo far riemergere storie ormai lontane, dando dignità a chi è spesso dimenticato dalla grande Storia.
***I ritals sono gli emigrati italiani; il termine deriva dall'iscrizione R.Ital., che appariva sui documenti di identità (Ressortissant Italien = Cittadino Italiano). Il termine divenne un neologismo e, anche se utilizzato in passato dai francesi con un certo disprezzo, fu adottato dagli stessi italiani residenti in Francia (ricordiamo il romanzo autobiografico di François Cavanna: Les Ritals).
Grande storico e umanista nonché illuminista purtroppo scomparso. Mancherà ai suoi studenti, lettori e estimatori.
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