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Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte
nume Clitumno! Sento in cuor l'antica
patria e aleggiarmi su l'accesa fronte
gl'itali iddii.Chi l'ombre indusse del piangente salcio
su' rivi sacri? ti rapisca il vento
de l'Apennino, o molle pianta, amore
d'umili tempi!
Qui pugni a' verni e arcane istorie frema
co 'l palpitante maggio ilice nera,
a cui d'allegra giovinezza il tronco
l'edera veste:
qui folti a torno l'emergente nume
stieno, giganti vigili, i cipressi;
e tu fra l'ombre, tu fatali canta
carmi, o Clitumno.
Siamo in Umbria, tra Trevi e Spoleto, nell’ultimo lembo della Valnerina, nel comune di Campello. Il paese moderno si trova lungo la via Flaminia ma l’antico centro storico, il castello, con le sue mura ancora intatte e la sua unica porta di accesso, è più in alto in posizione dominante a corona di un colle. In effetti il piccolo borgo non conta che nove residenti, le altre abitazioni sono destinate all’accoglienza dei turisti.
Scendiamo a valle e più precisamente nella frazione di Pissignano. Qui nasce il Clitunno, minuscolo fiume lungo una cinquantina di chilometri, affluente del Topino e quindi del Tevere. Delle Fonti del Clitunno, famose nell’antichità per le loro facoltà curative e miracolose, avevano parlato Virgilio, Lucano, Stazio, Giovenale e Plinio il giovane, che si rammaricava di non averle conosciute prima. La leggenda racconta che le acque di queste fonti avessero il dono di rendere bianca la pelle e che quindi in esse si immergessero i tori destinati ai Trionfi romani. Avevano quindi già incantato scrittori e poeti quando nel 1876 Giosuè Carducci, trovandosi a Spoleto, volle visitarle. E fu in quell’occasione che scrisse la sua celebre ode: Alle fonti del Clitumno.
Oggi il sito è diventato un parco privato con tanto di biglietteria ma il luogo è, malgrado ciò, ancora suggestivo e appagante. Una piacevole passeggiata tra specchi d’acqua, alberi, fiori e uccelli.
Conosciuti quindi fin dall’antichità per la loro sacralità, questi luoghi, lungo la via Flaminia, sembra accogliessero differenti templi di piccole dimensioni, tra i quali, il più importante era forse quello consacrato al dio Clitumnus, divinità identificata con Giove.
Qui sorge ancora un tempietto la cui fama è inversamente proporzionale alle sue dimensioni.
Alcuni studiosi ne datano una prima costruzione tra il IV e il V secolo, eseguita probabilmente utilizzando materiali di recupero da costruzioni ancora più antiche. La sua struttura è quella di un tempio pagano classico ma oggi gli esperti si accordano nel considerarlo come chiesa cristiana fin dalle origini (una croce gemmata scolpita sul timpano – e quindi non aggiunta in seguito – lo confermerebbe) anche se, soprattutto per le successive modifiche è comunemente definito “tempio longobardo”. Dimenticato per molti secoli, il tempietto del Clitunno fu riscoperto durante il Rinascimento e poi, in seguito, dai poeti romantici, che ne fecero un luogo di ispirazione. Lo visitò Goethe e lo cantò anche Byron: E sulla tua felice sponda un Tempio, / di minuta e delicata struttura, mantiene ancora, / sul mite declivio di una collina, / il ricordo di te.
Il tempio si trova a meno di un chilometro dalle Fonti, un po’ nascosto ma ben indicato dalla segnaletica. Quando arriviamo non ci sono molti visitatori, solo tre o quattro persone che stanno uscendo dal sito. Una casetta prefabbricata ospita l’impiegata che sta leggendo un libro. Paghiamo i tre euro del biglietto di ingresso e ci avviamo verso il tempietto che si trova un po’ più in basso.
Quello che stupisce e affascina maggiormente è probabilmente proprio l’eleganza e nello stesso tempo la modesta semplicità del monumento, un po’ più grande di una cappella di campagna. Quattro colonne sostengono il timpano e una stanza piuttosto buia, alla quale si accede dalla scala laterale, lascia intravedere dei residui di affreschi: un Cristo benedicente, San Pietro e San Paolo. Una nicchia in marmo e un piccolo altare completano l’arredo.
In basso una piccola apertura centrale dà accesso ad un altro piccolo locale, forse l’antico tempio pagano dedicato a Giove.
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