Qui le vigne si fanno rare, anzi un'unica parcella, proprio ai piedi dell'oppidum di Alesia, nel territorio di Flavigny, si riallaccia ad una tradizione secolare che era stata da tempo abbandonata a causa della fillossera. È dal 1994 che, ripiantate le vigne sulle pendici dell'Auxois si è rinato il vino di Flavigny.
martedì 31 ottobre 2017
Borgogna : Flavigny
Flavigny,
un borgo medievale situato su un colle sulla valle dell'Ozerain, un
modesto fiume -
piuttosto
un ruscello - che dopo un breve percorso si getta nella Brenne, ai
piedi del monte Auxois.
Sviluppatosi
attorno ad un'antica abbazia benedettina fondata nell'VIII secolo, il
paesino di Flavigny ha conservato le sue antiche porte fortificate e
molte delle case in pietra e legno tipiche della regione.
Il grigio
delle massicce pietre contrasta nella luce autunnale con le calde
sfumature delle piante ormai vicine al riposo invernale.
La
sua struttura è labirintica, le stradine si intrecciano risalendo
verso la piazzetta della chiesa.
Una storica fabbrica di caramelline
continua ancora la produzione nei locali dell'antica abbazia e,
quando il tempo volge al brutto, un profumo di anice nell'aria
anticipa la pioggia.
In
questa parte della Borgogna, tra la ricca valle della Saone,
principale affluente del Rodano, e il Morvan boscoso e selvaggio,
l'Auxois si distende in un dolce paesaggio di colline e di valli
coltivate.
Qui le vigne si fanno rare, anzi un'unica parcella, proprio ai piedi dell'oppidum di Alesia, nel territorio di Flavigny, si riallaccia ad una tradizione secolare che era stata da tempo abbandonata a causa della fillossera. È dal 1994 che, ripiantate le vigne sulle pendici dell'Auxois si è rinato il vino di Flavigny.
Sul
fianco della collina, esposti al sole, i filari cambiano colore da un
giorno all'altro verso toni autunnali sempre più caldi.
Flavigny
conta attualmente circa trecento abitanti, comprea la quarantina di
religiosi di obbedienza tradizionalista della Fraternità
sacerdotale Pio X.
Nel
borgo, che è ormai repertoriato tra les plus beaux villages de
France, si incontrano gruppetti
di turisti, mai troppo numerosi.
Un'associazione
locale cerca di animare la
vita di Flavigny con
iniziative culturali e ricreative. Nella domenica di fine
ottobre un mercatino di prodotti regionali attira un pubblico
abbastanza numeroso; una minuscola ma attraente libreria, aperta nei
fine settimana è tenuta da un giovane appassionato, peraltro
insegnante di canto nel conservatorio di una città lontana.
Passata
però la festa domenicale il paese ritrova la sua tranquillità.
Passeggiando tra le vie quello che colpisce è il silenzio. Solo
l'abbaiare di un cane e il cinguettio di uccelli attenuano la calma
assoluta che sembra regnare.
mercoledì 20 settembre 2017
Castelvecchio Calvisio AQ
È una delle rarissime giornate piovose di quest'estate davvero eccezionale. Il nostro vagabondare ci porta a Castelvecchio Calvisio, uno dei comuni dell'antica baronia di Carapelle nell'attuale provincia di L'Aquila.
Le origini di questo borgo sono antichissime, le prime informazioni su un castello situato da queste parti pare risalgano addirittura all'VIII secolo. L'attuale abitato di Castelvecchio, di origine medievale occupa la sommità di un colle a più di mille metri d'altezza e, visto dall'alto, ricorda il carapace di una tartaruga.
Lo schema è quello romano, con una via che attraversa il borgo nel senso della sua lunghezza.
Da questa partono, a destra e a sinistra, una serie di stradine. In origine solo due porte, ai lati opposti del decumano, permettevano l'ingresso nell'abitato fortificato, protetto dalle case mura.
Il panorama si apre sulla valle del Tirino mentre verso nord spiccano Calascio e la sua rocca.
Purtroppo il terremoto del 2009 ha provocato anche qui non pochi danni e in questa giornata grigia le rovine et le impalcature accentuano un sentimento di malinconia.
Passaggiamo tra le stradine senza incontrare nessuno. Di tanto in tanto le nuvole basse coprono l'orizzonte e anche la rocca di Calascio resta per un momento sospesa a mezz'aria.
Castelvecchio era, all'inizio del XX secolo, un comune di più di mille abitanti; attualmente i residenti sono poco più di un centinaio e tra questi molti non tornano in paese che di tanto in tanto.
Tra le viuzze silenziose ci arriva un suono di arpa.
Lo seguiamo e da una finestra vediamo la musicista che sta provando il suo strumento.
Siamo arrivati così al Palazzo del Capitano. L'antica dimora, ristrutturata con cura, accoglie l'associazione arteMISIA che organizza qui un ricco programma di manifestazioni culturali capaci di animare il piccolo borgo.
Oggi è un quartetto di Arpe, il Sursum Chordae proveniente da Stoccarda che propone un sorprendente programma tra Chopin, Satie, John Cage…
Tre giovani musiciste accompagnate dalla loro professoressa Lucia Cericola. Tra i brani è il celebre Canon di Pachelbel in una versione davvero affascinante. La mia registrazione "artigianale" non la restitusce che molto parzialmente.
Le origini di questo borgo sono antichissime, le prime informazioni su un castello situato da queste parti pare risalgano addirittura all'VIII secolo. L'attuale abitato di Castelvecchio, di origine medievale occupa la sommità di un colle a più di mille metri d'altezza e, visto dall'alto, ricorda il carapace di una tartaruga.
Lo schema è quello romano, con una via che attraversa il borgo nel senso della sua lunghezza.
Da questa partono, a destra e a sinistra, una serie di stradine. In origine solo due porte, ai lati opposti del decumano, permettevano l'ingresso nell'abitato fortificato, protetto dalle case mura.
Il panorama si apre sulla valle del Tirino mentre verso nord spiccano Calascio e la sua rocca.
Purtroppo il terremoto del 2009 ha provocato anche qui non pochi danni e in questa giornata grigia le rovine et le impalcature accentuano un sentimento di malinconia.
Passaggiamo tra le stradine senza incontrare nessuno. Di tanto in tanto le nuvole basse coprono l'orizzonte e anche la rocca di Calascio resta per un momento sospesa a mezz'aria.
Castelvecchio era, all'inizio del XX secolo, un comune di più di mille abitanti; attualmente i residenti sono poco più di un centinaio e tra questi molti non tornano in paese che di tanto in tanto.
Tra le viuzze silenziose ci arriva un suono di arpa.
Lo seguiamo e da una finestra vediamo la musicista che sta provando il suo strumento.
Siamo arrivati così al Palazzo del Capitano. L'antica dimora, ristrutturata con cura, accoglie l'associazione arteMISIA che organizza qui un ricco programma di manifestazioni culturali capaci di animare il piccolo borgo.
martedì 19 settembre 2017
hermann-hesse
È facile esser giovane e agire bene,
e tenersi lontano da ogni meschinità;
ma sorridere, quando già rallenta il battito del cuore,
sabato 9 settembre 2017
Peltuinum
Possiamo
visitare musei ed esposizioni per ammirare reperti archeologici e
opere d'arte ma osservare le vestigia del passato nel loro ambiente
naturale ha certo un fascino maggiore. È proprio il legame con la
natura che immaginiamo (anche se spesso a torto) la stessa, immutata,
frequentata dagli uomini del passato, a sublimare anche piccoli
resti, testimonianze di un mondo scomparso ma che attraverso il
paesaggio è ancora vivente.
È
il caso di Peltuinum, - anche se qui le vestigia sono di una certa
importanza - antica città situata su un pianoro più elevato di un
centinaio di metri sull'altipano di Navelli.
Siamo
nella valle dell’Aterno. Qui vivevano i Vestini, antico popolo
italico (forse proveniente dal nord ma l’origine resta incerta e
discussa) che occupava una larga parte dell’attuale Abruzzo, sui
due versanti del Gran Sasso. Sconfitti e integrati alla Repubblica
romana nel IV secolo avanti Cristo conservarono però per un periodo
piuttosto lungo una certa autonomia.
Tra
gli insediamenti più importanti nell’attuale provincia aquilana
erano la città di Aufinum, tra Ofena e Capestrano, Aveia, vicino a
Fossa, Prifernum, nel territorio di Assergi e appunto Peltuinum,
vicino a Prata d’Ansidonia.
Poco
si sa dell’antica Peltuinum vestina della quale non restano tracce.
La città fu però ricostruita dai romani tra il primo e il secondo
secolo dopo Cristo. Era un centro di una certa importanza, situato
lungo la via Claudia nova – corrispondente in gran parte
all'attuale statale 17 - sul tracciato del Tratturo Magno. Ed il
controllo della transumanza fu senza dubbio una delle ragioni che
spinsero l'amministrazione romana a ricostruire qui un nuovo
insediamento.
Ma
nel V secolo un terremoto colpì la città ed essa, che tra l'altro
era poco difendibile dalle scorrerie dei popoli barbari, cominciò
ad essere abbandonata dai suoi abitanti.
Il sito divenne per i secoli successivi una sorta di riserva di materiali edili, decorazioni, colonne, che furono prelevati per altre costruzioni.
Il sito divenne per i secoli successivi una sorta di riserva di materiali edili, decorazioni, colonne, che furono prelevati per altre costruzioni.
Oggi
restano i ruderi delle mura esterne, quelle di un tempio e di un
teatro e alcune cisterne.
Arriviamo
a Peltuinum alla fine del pomeriggio. Qualche visitatore si aggira
tra le mura in mattoni. Incontriamo un gruppetto di ciclisti che è
partito da L'Aquila e che si propone di seguire il tracciato del
Tratturo Magno fino a Foggia.
Il luogo è molto suggestivo, circondato da campi coltivati e con sullo sfondo le montagne, il Gran Sasso la Maiella e il Sirente. Su una collina è Castel Camporeschi, un piccolo borgo fortificato mentre più lontano sul suo colle spicca la Rocca di Calascio a guardia della vallata e del tratturo.
Il luogo è molto suggestivo, circondato da campi coltivati e con sullo sfondo le montagne, il Gran Sasso la Maiella e il Sirente. Su una collina è Castel Camporeschi, un piccolo borgo fortificato mentre più lontano sul suo colle spicca la Rocca di Calascio a guardia della vallata e del tratturo.
martedì 5 settembre 2017
Campo Imperatore, Rassegna ovina 2017
Il Corno Grande e le vette della parte orientale del massiccio fanno da sfondo alla piana che si allunga risalendo da est verso ovest là dove una soglia a più di 2000 metri di altezza la separa dalla conca aquilana. (vedi qui)
Siamo arrivati dopo due ore di cammino percorrendo per un tratto una delle antiche vie che collegavano i due versanti degli Appennini e superando a 1900 metri il guado della montagna, il passo che, aggirando le pendici del monte Bolza porta da Castel del Monte all'altipiano. L'aria è calda e il vento come un phön attenua appena la calura del torrido mattino. La mancanza di pioggia e il lungo arido periodo hanno seccato l'erba; attorno a noi le sterminate praterie non sono che distese di paglia e solo qualche pino mugo rinverdisce il paesaggio circostante. In questi mesi d'estate il vasto altipiano è percorso da greggi e da mandrie e sembra animarsi dopo i lunghi e freddi mesi invernali. Certo, non ci sono più le migliaia di pecore che nei secoli passati popolavano il Piccolo Tibet e che facevano la ricchezza di ricche famiglie di possidenti; ormai il modello economico e cambiato mettendo fine al sistema della transumanza. Per un giorno almeno però, il cinque di agosto, i pastori sono festeggiati e il loro lavoro è riconosciuto anche se spesso le frasi dei discorsi ufficiali pronunciati dal palco suonano un po' di circostanza.
Il
pubblico è numeroso, la mostra è anche e soprattutto
l'occasione per una piacevole gita in montagna e gli accenti
dialettali svelano provenienze diverse.
La gente circola fitta tra gli stand di prodotti del territorio: formaggi - tra cui il rinomato Canestrato di Castel del Monte - , miele della Maiella, aglio di Sulmona, prodotti in lana, zafferano di Navelli, birra artigianale aquilana.
Poco lontano, ma tenuto a doverosa distanza, è un altro mercato-fiera meno ligio ai canoni dell'aquisto etico e del prodotto artigianale e dove i venditori di porchetta affiancano paccottiglie di ogni genere.
La gente circola fitta tra gli stand di prodotti del territorio: formaggi - tra cui il rinomato Canestrato di Castel del Monte - , miele della Maiella, aglio di Sulmona, prodotti in lana, zafferano di Navelli, birra artigianale aquilana.
Poco lontano, ma tenuto a doverosa distanza, è un altro mercato-fiera meno ligio ai canoni dell'aquisto etico e del prodotto artigianale e dove i venditori di porchetta affiancano paccottiglie di ogni genere.
Il
cuore della manifestazione è però rappresentato dagli animali:
pecore, montoni ma anche molte capre e qualche asino.
Gli allevatori, spesso in una posa fiera e orgogliosa, si tengono a fianco degli stazzi delimitati da reti e attendono e scrutano con qualche circospezione i giudici preposti che circolano tra le bestie valutando con occhio critico e annotando con scrupolo i propri giudizi.
Diverse sono le razze esposte, dalla merinos alla gentile di Puglia alla francese berichonne du Cher.
I
cani pazientano vicino alle greggi, spesso mescolati agli ovini e
sembrano anche loro in attesa, stupiti ma non troppo scomposti dalla
confusione di questa giornata particolare. Non mancano i cavalieri e
anche le forze dell'ordine pavoneggiano sui loro destrieri.Gli allevatori, spesso in una posa fiera e orgogliosa, si tengono a fianco degli stazzi delimitati da reti e attendono e scrutano con qualche circospezione i giudici preposti che circolano tra le bestie valutando con occhio critico e annotando con scrupolo i propri giudizi.
Diverse sono le razze esposte, dalla merinos alla gentile di Puglia alla francese berichonne du Cher.
Momento
culmine e punto finale della manifestazione ufficiale, dopo la
premiazione, è l'attesa apertura degli stazzi, con le pecore che si
spargono correndo nei vasti prati, seguite e incitate da cani e
pastori. Un tempo era una marea bianca che come schiuma su un mare
verde si allargava a ventaglio dallo spiazzo della mostra, oggi le
morre di pecore sono ben meno numerose; quasi il gento
simbolico di un rito che risale alla notte dei tempi, residuo di un
mondo arcaico che ha segnato la storia dell'Uomo.
p.s.
La giornata, cominciata sotto auspici festivi, si è chiusa in modo
drammatico. Provocato dalla dabbenaggine di qualcuno, un incendio ha
devastato un largo tratto della prateria e ha distrutto parte della
vicina pineta. Non sarà definitivamente spento che dopo alcuni
giorni.
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