Bella passeggiata di quasi cinque chilometri sulle mura della città di Lucca, trasformate in originale parco urbano. Da un lato, attutito e nascosto, sale il rumore del traffico cittadino, tenuto a decorosa distanza dalla roccaforte, dall'altra lo spettacolo di palazzi e giardini, meno bello nei pressi delle prigione, magnifico invece quando le montagne dell'Appennino fanno corona alle torri della città. Pare che nel medioevo queste ultime fossero più di cento. Oggi sono molto meno numerose. Tra tutte si distingue con il suo pennacchio di lecci quella dei Guinigi, signori della città.
|
Duomo, particolare della facciata |
Nel duomo di Lucca due impiegate vendono i biglietti a chi vuole entrare in sacrestia. È lì che si trova, dal 1995 quando ci fu un crollo nel transetto, il monumento ad Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia.
Una signora, accompagnatrice di un gruppo di turisti domanda alle due donne: «Scusate, potete ricordarmi perchè è famosa questa Ilaria del Carretto?»
Sì, perchè se molti conoscono la giovane Ilaria, moglie sfortunata di Paolo Guinigi, non è per se stessa o per qualche fatto saliente della sua vita ma per il cenotafio di Jacopo della Quercia.
Siamo solo nel 1406 ma lo scultore senese realizza un'opera già intrisa dell'umanesimo del Rinascimento. Una rappresentazione ricca di sensibilità e di naturalezza.
Il volto delicato è quello di una donna che non ha ancora perso i lineamenti dell'adolescenza. Sorge dall'alto collo del vestito che fa da corolla, sembra rilassarsi dopo un profondo dolore. Le labbra leggermente incurvate ai lati come in un sonno riparatore. Il naso appena schiacciato.
Il copricapo, con una ghirlanda che richiama quelle che circondano il sarcofago, lascia apparire sui lati del viso i riccioli dei capelli ancora mossi dalla vita.
La testa si appoggia leggermente sul cuscino, solo un poco schiacciato dall'esile peso. Le mani sono appoggiate sul ventre ricordando le cause della morte: una peritonite successiva ad un parto.
Ma è il particolare non umano ad impregnare d'umanità la figura. L'allegoria della fedeltà, rappresentata dal cagnolino, è superata dalla naturalezza del dettaglio. La donna sembra appoggiarsi con i piedi sull'animale in un contatto affettuoso. Ma, accucciato, esso si gira in uno scatto di sorpresa e di inquietudine verso la padrona che non risponde. La coda attorcigliata in spirale parla della fiducia e della serenità dell'animale ma già un dubbio sembra sfiorarlo.
bellissima descrizione delle vista dalle mura, la senzazione della vista delle carceri mi fà tornare alla mente la detenzione di quel genio del giazz chet bacher, che dire poi del capolavoro del monumento at ILARIA DE CARRETTO.
RispondiEliminaPOLITICA e CULTURA: DALLA “LINEA BARTOLETTI” alla “LINEA RUINI”.
RispondiEliminaFOTO: ILARIA DEL CARRETTO. Vedi:
http://www.facebook.com/media/set/?set=a.228902670488564.62602.100001064993213&l=48437d71c1&type=1
Quando, il 15 settembre 1958, Mons. ENRICO BARTOLETTI arrivò a Lucca quale vescovo Ausiliare aveva in mente due cose. La tomba di Ilaria del Carretto e la scritta, in greco, che si trovava sulla parete al lato della stessa tomba. Si leggeva in greco: “Tànatos, atànatos, tà loipà tnetà”, che mi spiegò voleva dire: “La morte immortale, il resto di tutte le cose, mortali”. Non essendo lui disposto a soggiacere a cose periture, per non dire effimere, da vescovo puntava tutto sulla meditazione della morte quale essenza di immortalità. Il Bartoletti, in quei mesi, intimamente si identificava con Ilaria del Carretto, morta anche lei, appunto. La prima volta che andai a trovarlo a Lucca mi disse di guardare bene la tomba poiché, oltre a lui (Ilaria), ci sarei stato anch’io. Guardai bene, in san Martino, il sacro monumento di Jacopo Della Quercia ma non riuscii mai a vedermi. La prima volta che ritornai a Lucca comunque mi domandò: “ti sei visto?” Gli risposi: “o guardato bene ma non mi sono visto da nessuna parte”, e lui zitto. Solo dopo alcuni anni dalla morte del Bartoletti, avvenuta nel 1976, riguardando la tomba riuscii a capire dove mi aveva collocato. Mi identificava nel cagnolino che si trova ai suoi piedi, non so ancora se per un sentimento di affettività verso Ilaria, oppure a sua difesa. Ultimamente, dopo la pubblicazione, nel 1994, delle due lettere di don Milani al Bartoletti (10/09/1958 e 1°/10/1958), ritengo anche a Sua difesa. Infatti esistono dei cani addestrati anche per la difesa personale. Ma tutto ciò non si sarebbe verificato se, dopo la morte di papa ALBINO LUICIANI, non si fosse passati, alla C.E.I. e in Vaticano, dalla “LINEA BARTOLETTI” per una Chiesa profetica e povera (e per Aldo Moro), alla “LINEA RUINI” per una Chiesa temuta, trionfante ed assistenzialista (e per Silvio Berlusconi), come lascia intendere anche l’Enciclopedia Wikipedia alla voce “E. Bartoletti”. Cfr. FOTO su Facebook a Giovangualberto Ceri. F.to GIOVANGUALBERTO CERI