La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 16 dicembre 2017

Vézelay, Borgogna

Il paesino di Vézelay, sul crinale del suo colle, si leva, lungo una breve salita e domina la valle sottostante. Dall'altro lato la collina è tagliata di netto, praticamente inaccessibile.
Più in basso, esposte a sud, sono le vigne che producono il Bourgogne de Vézelay, vino rosso o bianco.
Al culmine della salita, al limite del balcone naturale che si affaccia a nord est, è la basilica dedicata a Santa Maria Maddalena.
Si trova sulla via che, dal nord est della Francia, portava i pellegrini verso Santiago di Compostela; anzi era proprio il punto di partenza della via Lemovicensis che da qui si dirigeva verso Limoges e che raggiungeva le altre vie francesi a Saint-Jean-Pied-de-Port alla frontiera spagnola.
A lungo l'abbazia di Vézelay è stata meta di pellegrinaggio; si veniva fin qui per pregare sulle reliquie di Maria Maddalena. Ma nel 1267 il papa proclamò solennemente che il corpo della Santa era quello ritrovato a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume in Provenza. I pellegrini non vennero più e per Vézelay cominciò il declino.
La ricchezza e la potenza dell'abbazia che medioevo si era ingrandita, furono seguite da una lunga decadenza.
Alla Rivoluzione l'istituzione religiosa cessò di esistere e gli ultimi monaci abbandonarono il paese.
La chiesa che vediamo oggi è il risultato del restauro di Viollet-le-Duc che, alla metà del XIX secolo fu incaricato dal governo di rispondere all'appello dello scrittore Prosper Mérimée:
Non mi resta che di parlare del degrado spaventoso che ha subito questa magnifica chiesa. I muri sono sbilenchi, marci d'umidità. Non si sa come la volta, tutta screpolata, tenga ancora. Mentre disegnavo nella chiesa, sentivo a ogni istante sassolini staccarsi e cadere attorno a me… per finire non ci sono parti di questo monumento che non abbiano bisogno di riparazioni… Se si aspetta ancora per soccorrere la Maddalena, bisognerà ben presto decidersi ad abbatterla per evitare incidenti.
Il lavoro dell'architetto Viollet-le-Duc fu come nelle sue abitudini, più una ricostruzione che un restauro. L'edificio che vediamo oggi è certamente differente da quello delle origini. Conserva però un innegabile fascino nella sua struttura romanica e nei suoi grandi spazi. Un ampio nartece, il vestibolo destinato ad accogliere i catecumeni e i penitenti, introduce nelle navate più luminose. Avanzando si arriva al coro, in stile gotico e con ampie vetrate. Dal buio verso la luce, in una simbolica dall'effetto sorprendente. Ogni anno, al solstizio d'estate, la luce che entra dalle finestre a sud arriva con una serie di punti luminosi esattamente al centro della navata centrale.
Entriamo nell'edificio mentre si svolge una funzione religiosa: un gruppo di monaci e di suore saluta così un confratello che si appresta a partire in missione. I canti risuonano affascinanti sotto le alte volte.
Oggi sono soprattutto i turisti che vengono quassù. Il bel paesino, nel novero dei plus beaux village de France, e la basilica romanica hanno conservato un'indubbia attrattiva. La struttura del borgo è assai semplice, un'unica via sale verso la basilica e da questa si diramano, come i rami di un albero, altre vie che si allargano un poco attorno al colle.
Un folto gruppo di ragazzini corre qua e là con un foglio di indicazioni in mano. Sono alunni in gita scolastica per i quali gli insegnanti hanno organizzato una sorta di caccia al tesoro per permettere loro di scoprire il borgo. Alcuni hanno fatto il giro attorno alla grande chiesa e li sentiamo chiedersi l'un l'altro: “Peut-être c'est celle-ci l'église ?”

mercoledì 29 novembre 2017

Mario Ferraguti: La voce delle case abbandonate

Le case, abbandonate dagli uomini, cominciano una nuova vita. Si trasformano lentamente con gli oggetti lasciati nelle stanze. I cassetti e le ante dei mobili si aprono, lasciano entrare nuovi ospiti che si appropriano dei luoghi e curiosano tra i resti di vite passate. Le case sembrano prima proteggersi dagli intrusi; il passante trova porte chiuse a chiave o con lucchetti. Ma a volte è solo un filo di ferro o una spranga di traverso ad abbozzare un ultimo ostacolo al forestiero. Poi col tempo, un vetro si rompe, il vento apre una finestra, il legno marcisce e una porta finisce per staccarsi dai cardini e la vecchia abitazione, forse annoiata da tanta solitudine, tenta di attirare il viandante perché le faccia un po' di compagnia.

È bastata la lettura di qualche pagina di questo libro per cominciare a guardare le case abbandonate con uno sguardo diverso.

Mario Ferraguti abita sulle colline del parmense e da tempo osserva e descrive il mondo affascinante e a volte misterioso degli Appennini.

Il libro è pubblicato nella collana Piccola filosofia di viaggio dell'editore Ediciclo (una collana di cui ho già parlato qui) .
Ed è infatti un viaggio nel quale lo scrittore ci accompagna. Un viaggio tra vecchie mura che non sono però quelle di storiche rovine ma i resti di vite semplici e forse banali, di luoghi creati dalla presenza umana ma nei quali quest'ultima non è tutto; luoghi che hanno una vita propria, ricca anche dopo il loro abbandono.

Le case abbandonate raccontano storie e voci ormai scomparse. A poco a poco si trasformano, i ricordi degli uomini, delle donne, dei bambini che le abitarono sono cancellati giorno dopo giorno.
Nelle stalle gli animali hanno lasciato il loro odore e i segni della loro presenza, poi anche questi sono stati portati via dal tempo. Altre bestie, topi, insetti, ragni, che occupavano gli angoli e i buchi nel legno, sono restati soli allargando il loro territorio.
Quando le prime tegole cominciano a muoversi la pioggia, il vento e la neve si intrufolano. Lo spazio si allarga, i primi coppi cadono sul pavimento attirando gli altri, fino a lasciare nude le travi. Ma anche la trave più solida si stanca di reggere il tetto e infine si spezza.

Nel bosco sono gli alberi ad impossessarsi della casa abbandonata. Entrano dalle finestre, allungando i loro rami, depositano semi che cominciano a germogliare, si aggrappano ai muri, spingono le proprie radici per abbracciare l'antica abitazione. Gli ultimi mobili dimenticati perdono il loro colore, poi la loro forma; la pioggia e la neve li lavano, li smontano, li alleggeriscono. Anche sui muri i colori si attenuano poco a poco poi spariscono. Restano pietre e mattoni.
Una vecchia pentola, restata vicino a quello che era il camino, ricorda cene frugali al calore del fuoco. Col tempo le case smettono di essere case, muri, finestre, tetti.
Con gli anni ridiventano pietre, legno, terra. La storia degli uomini che le hanno abitate è riassorbita dal mondo naturale che ha tempo e pazienza, più lunghi della storia degli uomini.

Mario Ferraguti ci invita ad un viaggio poetico fatto di riflessioni, nell'apparente semplicità, dense e profonde e che ci aprono un universo vicino e nello stesso tempo sconosciuto.

sabato 18 novembre 2017

Auxerre, Borgogna.

Eccoci ad Auxerre e la città ci accoglie tra un'estate che sembra non voler finire e un autunno che è già ben presente.

Sprazzi di luce calda quando l'aria si fa dolce ed invita al farniente – come dicono i francesi -, a sedersi fuori da un café per sorseggiare un bicchiere del vino locale;
poi foschia che attenua i contorni, che si leva fluttuando dal fiume, avvolgendo le barche ormeggiate e i ponti e che spegne buonumore e spensieratezza ispirando una certa malinconia.

Siamo nel nord della Borgogna, la città è il capoluogo del dipartimento dell'Yonne; modesta città per il numero di abitanti – sono meno di trentacinquemila - ma dall'aspetto accogliente e gradevole.
La città vecchia si adagia su un largo colle e le vie salgono tra antiche case a colombage. In alto, a corona dall'abitato è la cattedrale gotica di Saint-Étienne, famosa per le sue vetrate.

Auxerre è una vecchia città, né ben costruita né con belle strade ma piacevolmente situata su un pendio di vigne e sulla riva sinistra dell'Yonne. Così la definiva un nobile viaggiatore dei secoli passati.
Oggi, almeno su questo colle, le vigne non ci sono più e bisogna allontanarsi qualche chilometro per ritrovare il pregiato Chablis ma è sempre gradevole perdersi qua e là tra le vie della città vecchia o passeggiare lungo il fiume mentre il sole scende all'orizzonte. Ripartiamo che è già notte, con un'ultima immagine di Auxerre illuminata anche da una bella luna.

martedì 31 ottobre 2017

Borgogna : Flavigny

Flavigny, un borgo medievale situato su un colle sulla valle dell'Ozerain, un modesto fiume -
piuttosto un ruscello - che dopo un breve percorso si getta nella Brenne, ai piedi del monte Auxois.
Siamo infatti in Borgogna, non lontano da Alesia, città gallica resa celebre dalla definitiva battaglia tra Giulio Cesare e Vercingetorige nel 52 avanti Cristo.
Sviluppatosi attorno ad un'antica abbazia benedettina fondata nell'VIII secolo, il paesino di Flavigny ha conservato le sue antiche porte fortificate e molte delle case in pietra e legno tipiche della regione.
Il grigio delle massicce pietre contrasta nella luce autunnale con le calde sfumature delle piante ormai vicine al riposo invernale.
La sua struttura è labirintica, le stradine si intrecciano risalendo verso la piazzetta della chiesa.
Una storica fabbrica di caramelline continua ancora la produzione nei locali dell'antica abbazia e, quando il tempo volge al brutto, un profumo di anice nell'aria anticipa la pioggia.
In questa parte della Borgogna, tra la ricca valle della Saone, principale affluente del Rodano, e il Morvan boscoso e selvaggio, l'Auxois si distende in un dolce paesaggio di colline e di valli coltivate.

Qui le vigne si fanno rare, anzi un'unica parcella, proprio ai piedi dell'oppidum di Alesia, nel territorio di Flavigny, si riallaccia ad una tradizione secolare che era stata da tempo abbandonata a causa della fillossera. È dal 1994 che, ripiantate le vigne sulle pendici dell'Auxois si è rinato il vino di Flavigny.
Sul fianco della collina, esposti al sole, i filari cambiano colore da un giorno all'altro verso toni autunnali sempre più caldi.
Flavigny conta attualmente circa trecento abitanti, comprea la quarantina di religiosi di obbedienza tradizionalista della Fraternità sacerdotale Pio X.
Nel borgo, che è ormai repertoriato tra les plus beaux villages de France, si incontrano gruppetti di turisti, mai troppo numerosi.
Un'associazione locale cerca di animare la vita di Flavigny con iniziative culturali e ricreative. Nella domenica di fine ottobre un mercatino di prodotti regionali attira un pubblico abbastanza numeroso; una minuscola ma attraente libreria, aperta nei fine settimana è tenuta da un giovane appassionato, peraltro insegnante di canto nel conservatorio di una città lontana.
Passata però la festa domenicale il paese ritrova la sua tranquillità. Passeggiando tra le vie quello che colpisce è il silenzio. Solo l'abbaiare di un cane e il cinguettio di uccelli attenuano la calma assoluta che sembra regnare.