La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 16 ottobre 2010

Giacomo Leopardi

Una delle questioni che il critico Cesare Luporini pose nel proprio saggio dedicato a Giacomo Leopardi Leopardi progressivo (1980) è quella della valutazione del carattere della sua riflessione filosofica. Secondo lui Leopardi non può essere definito filosofo se si considera il suo mancato inserimento nell'evolversi storico di una riflessione teorica nella quale nuovi pensatori riflettono, reinterpretano e superano i concetti dei loro predecessori, all'interno di un momento conoscitivo-scientifico del « fare » filosofico.
In effetti il suo pensiero ha certo una componente di ricerca teorica ma sempre legata al vivere pratico dell'uomo, all'analisi concreta di situazioni umane e storiche. I due campi si influenzano vicendevolmente così che la scelta dei problemi scientifici è condizionata dal momento pratico e viceversa. Piuttosto un moralista dunque, secondo Luperini, nella linea che va da Erasmo a Montaigne fino a Kierkegaard e Nietzsche.
Leopardi, nei suoi scritti, si scagliò contro il Romanticismo in voga nel suo tempo ma in realtà il suo pensiero si inseriva prepotentemente in questa corrente.
Come le grandi figure del Romanticismo, egli sentì in modo drammatico lo scontro tra realtà storica e quotidianità della vita ma, e qui stava la sua opposizione, rifiutando la concezione estetizzante in voga tra i romantici.
E mentre nei momenti più alti della riflessione europea l'Uomo sostituiva Dio al centro della concezione dell'universo, Leopardi andava già oltre, precedendo in qualche sorta la crisi esistenzialista del XX secolo. Nietzsche riconoscerà in Leopardi un precursore. La finitudine del mondo modifica il rapporto tra le forze interne all'uomo e le forze del di fuori. Le forze esterne non sono più limitabili all'organizzazione gerarchica dell'universo. L'intervento di variabili non più riconducibili ad un ordine immutabile fa scaturire una forma che non è né dio né uomo. Su questo fondamento Nietzsche porrà il problema del « superuomo », capace, secondo la formula di Rimbaud, di farsi carico anche dell'animale e dell'informe.

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