Siamo stati a Norcia nell'aprile del 2014. Ci affascino' quella città tra le montagne, con la sua atmosfera calma e tranquilla, forse un po' monotona ma sicuramente rilassante e gradevole. Avevamo ammirato la basilica di San Benedetto, austera, come l'insegnamento del monaco a cui è dedicata. Dico è anche se la logica vorrebbe l'uso dell'imperfetto dopo aver visto le immagini di quello che ne resta. Salimmo fino a Castelluccio, in una ventosa giornata nella quale la primavera sembrava ancora lontana. Anche quel borgo è stato colpito duramente dal terremoto, l'ennesimo. Forse non sarà l'ultimo ma gli uomini e le donne di queste terre sono tenaci e sicuramente ricostruiranno quello che è stato distrutto.
Subito
dopo Foligno la strada verso Colfiorito si infila tra le prime alture
degli Appennini e comincia a salire. Nonostante la primavera
avanzata, i boschi sono a tratti brulli, gli alberi, forse malati,
hanno piuttosto un aspetto autunnale. Lasciamo la strada che continua
verso le Marche e ci dirigiamo verso Cerreto di Spoleto.
La via è
poco frequentata e in cattive condizioni. Il paesaggio è quasi
montano, in lontananza si scorge la cresta ancora innevata dei monti
Sibillini. I boschi di cerri, che hanno dato il nome alla località,
sono ora più verdi e rigogliosi, qua e là un borgo o una casa
isolata. Il nucleo principale di Cerreto si allunga sulla cresta
mentre a fondovalle, sulla strada tra Spoleto e Norcia, alla confluenza dei fiumi Nara e Vigi, si è
sviluppata la frazione di Borgo.
Saliamo al paese; dopo un'ampia
piazza le case si affacciano sulla valle con un panorama aereo.
Il
borgo sottostante è più animato, quassù i passanti sono rari. Pare che proprio gli abitanti di questo paese, i cerretani, siano all'origine del termine
ciarlatano.
Nel vocabolario della Crusca del 1612 essi venivano infatti descritti
come "coloro che per le piazze spacciano unguenti, o altre medicine,
cavano i denti o fanno giochi di mano che oggi più comunemente dicesi
Ciarlatani, ...da Cerreto, paese dell'Umbria da cui soleva in antico
venir siffatta gente, la quale con varie finzioni andava facendo
denaro"*.
Riprendiamo
la strada verso Norcia. La città appare in fondo ad un viale
alberato. Le mura medievali, definitivamente consolidate nel
Rinascimento, quando Norcia divenne Prefettura Pontificia, proteggono
ancora il centro cittadino ma i numerosi terremoti hanno distrutto
poco a poco il nucleo originario della città ed oggi sono le
costruzioni ottocentesche che predominano.
Per tentare di limitare i
danni di futuri probabili moti sismici, nel XIX secolo,
l'amministrazione papale ancora in carica per qualche mese prima
dell'arrivo dei piemontesi e del cambiamento di regime, limitò
l'altezza delle abitazioni che, secondo la legge, non avrebbero potuto
più superare i due piani.
Ed è forse anche grazie alla modesta
altezza degli edifici che, nonostante i ripetuti cataclismi, la città
ha un aspetto piacevole e accogliente. Belle piazze e strade
luminose; le case hanno un caldo colore ocra. L'indole della
cittadina è un po' strattonata tra la presenza della figura mistica
di San Benedetto, patrono dell'Europa e la più prosaica tradizione
salumiera.
Il santo originario della città, condivide la sua
celebrità con gli insaccati che fecero (e fanno) la fama di Norcia a
Roma e nel mondo tanto da essere all'origine di un sostantivo,
norcineria, che nell'Italia centrale sostituisce la salumeria.
Ed in effetti le norcinerie sono ad ogni angolo.
L'altro
protagonista della storia di Norcia è dunque San Benedetto. La
tradizione leggendaria colloca la sua nascita in una casa situata
dove oggi si eleva la basilica consacrata al santo. La chiesa, sulla
piazza principale, ha una semplice ed elegante facciata gotica. Sul
lato opposto è la Castellina,
palazzo fortificato che fu nei secoli passati sede del potere
politico.
Al centro della piazza una statua del santo ha un
bel gesto imperioso e solenne. Molta gente per strada, soprattutto
turisti ma anche qualche monaco con un caratteristico saio azzurro.
Lasciamo
Norcia e continuiamo a salire verso Castelluccio. Le nuvole sono
sempre più basse e quando arriviamo al passo per poi scendere
nell'altipiano siamo immersi nella nebbia. Fortunatamente le nubi
sono rapidamente spazzate dal vento e Castelluccio appare al centro
della larga valle.
Attraversiamo il piano; la stagione non è
abbastanza avanzata e delle famose fioriture non c'è ancora traccia.
Sulla sinistra vediamo il caratteristico boschetto che disegna la
sagoma dell'Italia.
Il paesaggio è spoglio ed essenziale. La strada
attraversa il piangrande in una profusione (forse eccessiva) di
cartelli stradali. Nella luce grigia cielo basso e scuro il verde dei
prati sembra ancora più brillante. Quasi al centro della valle un
modesto colle accoglie il solo abitato della contrada.
Castelluccio
è singolare e insolito; inconsueto e intrigante visto da lontano ma
da vicino non è proprio un bel paesino. Le case sono costruite con
materiali disparati : mattoni, blocchi di cemento, pietre.
Sui muri
un grafomane si è divertito a scrivere con vernice bianca le sue
massime nel dialetto del luogo. Il vento è gelido, siamo a 1400
metri di quota, incontriamo qualche abitante in giacca a vento.
Facciamo un rapido giro tra le case prima di ripartire. Nei canaloni
delle montagne vicine la neve tarda a sciogliersi.
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* tratto dal sito del Comune di Cerreto
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