domenica 6 dicembre 2015
Ma la festa dell'Unità non si fa più?
Per
chi abita all'estero non è facile seguire la vita politica italiana.
Molte cose sono cambiate in questi ultimi decenni e il cambiamento
sembra accelerarsi sempre più, preso in un vortice che spazza via
tutti i punti di riferimento che sembravano inamovibili.
Ciò
è ancora più evidente in un contesto particolarmente circoscritto e
singolare com'è quello di un paese di montagna come Castel del
Monte, malgrado tutto ancora un po' appartato rispetto al mainstream
contemporaneo.
Così
capita ancora di sentire qualche compaesano abitante all'estero e
in vacanza chiedere incuriosito: Ma
la festa dell'Unità non si fa più?
Per
molti connazionali in effetti, il ritorno al borgo per le vacanze
estive era, ed è tuttora,
segnato da una serie di avvenimenti culturali
che scandiscono
il calendario delle giornate estive: la rassegna ovina di Campo
Imperatore, la festa di San Donato, la scampagnata di Ferragosto, la
festa della classe
e, da qualche anno, la “Notte delle streghe”.
Tra
queste manifestazioni si inseriva la Festa
dell'Unità,
un tassello, forse un po' anomalo ma non troppo, nella successione di
appuntamenti estivi.
Anomalo
perché era
forse l'unico
non
unanimemente accolto nel panorama delle iniziative pubbliche.
Quando, sempre più raramente, si parla di politica, soprattutto
per coloro che abitano all'estero, appare
la necessità di capire quali siano
gli schieramenti in campo e di associarli a schemi conosciuti che più
o meno corrispondano.
Così,
semplificando all'estremo (ma forse non a torto) fino
a qualche anno fa si
distinguevano le due fazioni: comunisti e democristiani, sinistra e
destra, anticlericali e bigotti. E soprattutto i più giovani, nati
all'estero
e un po' sperduti nelle sottigliezze arcane del panorama ideologico
nostrano, erano sconcertati quando il quadro manicheo non
corrispondeva più alle attese.
Certo
in un paesino in cui tutti si conoscono, il dibattito politico può
rapidamente sviare in un battibecco tra i seguaci di Peppone e quelli
di Don Camillo e la
schermaglia può avere
conseguenze paradossali.
Fu
il caso per
esempio nel
1980 quando alle elezioni comunali, dopo anni di opposizione, una
lista di sinistra, organizzata attorno alla sezione comunista
riuscì ad imporsi e a fare eleggere alla carica di sindaco Mario
Basile, principale animatore di un gruppo di giovani intraprendenti e
motivati, che
aveva saputo scuotere l'arcaica e sonnolenta sezione e
che resterà poi
in carica per i successivi 24 anni.
Per
il campo avverso la batosta fu rude e inattesa a tal punto che gli
sconfitti decisero -arma letale- di boicottare la festa patronale di
San Donato, ritirandosi dalla deputazione
incaricata dell'organizzazione dell'evento.
La risposta non si fece attendere. Era impossibile infatti per
l'amministrazione neoeletta bollare, con un segnale che sarebbe
apparso incomprensibile a molti, il nuovo corso e macchiare con un
simbolo così inaudito – il vuoto incolmabile lasciato dalla
secolare festa - le rosee prospettive future. Ed ecco quindi i
militanti comunisti, abbandonate per l'occasione le bandiere rosse e,
imbracciati i monumentali sacri stendardi, occuparsi con buona lena
del programma di animazione delle festività in onore del santo
protettore accompagnando la statua nelle due canoniche processioni
tra la chiesa matrice e quella eponima.
L'implicazione
dell'amministrazione di sinistra non si smentirà negli anni seguenti
anche quando la parte avversa tornerà a più miti consigli
riprendendo le redini delle celebrazioni. La partecipazione alla
processione religiosa, comunemente accettata dalla maggioranza della
popolazione, avrà però delle insospettate conseguenze oltralpe,
mettendo nell'imbarazzo il sindaco comunista di Somain, la cittadina
francese gemellata con Castel del Monte. Una cartolina raffigurante
il santo seguito dai due sindaci verrà utilizzata da un oppositore
per denigrare l'incongruo atteggiamento filo clericale del maire
comunista.
Tra
gli
eventi
chiave dell'estate
castellana si
inseriva quindi
la
Festa dell'Unità,
organizzata anch'essa,
ma con più congruenza dalla
locale sezione del Partito Comunista. Un momento certo festivo ma non
sprovvisto di iniziative culturali e di dibattito un po' a
controcorrente tra processioni e le messe.
Sulla
piazza principale o nella “zona sportiva” le tradizionali
grigliate accompagnavano spettacoli più o meno “impegnati”, come
si diceva allora. Punto nevralgico di coordinamento era la Casa
del popolo,
sede di partito ma anche centro di ritrovo e di incontro.
Il
destino della Casa del popolo fu
forse l'ultimo sussulto vitale e organico (come direbbe Gramsci) del
popolo di sinistra castellano. La sfida lanciata
tra i castellani e
dettata
da contingenze locative era chiara:
dare una sede definitiva
e stabile al Circolo.
Fu
una
mobilitazione all'altezza della posta in gioco. Nelle
città del nord Italia ma anche all'estero, i compaesani
simpatizzanti e militanti, giovani e meno giovani, furono sollecitati
e risposero volentieri
partecipando alla colletta che permise l'acquisizione della nuova
(ultima) sede dell'istituzione.
Ma
poi il Partito Comunista scomparve, la Cosa
si
trasformò in quercia, poi in ulivo del quale non resteranno che
cinque foglie. Terminata la spinta
propulsiva
dell'amministrazione di sinistra, anche la Casa
del popolo
perse il suo ruolo
di cellula politica. Continuerà a funzionare ancora qualche anno,
come circolo ARCI, tenuto aperto da qualche volenteroso pensionato.
Oggi
il
locale è
ancora aperto in occasioni particolari, come sede di esposizioni.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento