La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 14 maggio 2016

Benozzo Gozzoli a Montefalco

Il museo San Francesco, allestito attorno e all'interno della chiesa omonima di Montefalco, accoglie una bella collezione di dipinti e di arte sacra. Vi si possono anche ammirare, - ed è senz'altro questo il momento più interessante della visita – gli affreschi di Benozzo Gozzoli, affreschi che ornano i muri dell'antica chiesa ormai sconsacrata.
Allievo del Beato Angelico, Benozzo di Lese di Sandro, passato alla posterità con il nome di Gozzoli (nome che gli fu attribuito dal Vasari, non si sa con certezza perché) realizzò gli affreschi dell'abside nella chiesa di Montefalco e poi quelli delle cappelle dedicate a San Girolamo e a San Bernardino da Siena a partire dal 1450 dopo aver terminato, nella chiesa di San Fortunato il suo primo incarico da Maestro.
Furono i francescani conventuali a chiedergli di compiere un ciclo di dipinti incentrati sulla vita del Santo fondatore dell'ordine. Benozzo Gozzoli conosceva evidentemente il lavoro realizzato da Giotto per la basilica di Assisi anzi, in un medaglione egli rende omaggio al suo concittadino pittore fiorentino associandone il ritratto a quello di altri due concittadini illustri: Dante e Petrarca.
L'esempio dell'opera di Giotto è quindi presente nelle rappresentazioni di Montefalco ma, almeno in questo primo periodo della sua vicenda artistica, Benozzo Gozzoli lavora anche - soprattutto - nel ricordo dell'insegnamento del Beato Angelico.
Un'arte definita “ingenua” ma nel senso positivo del termine; che lascia da parte ragionamenti troppo razionali affidandosi principalmente alle emozioni. I paesaggi naturali, le umanissime espressioni dei personaggi devono molto alla lezione di Giotto ma i colori, limpidi e tersi, ricordano la tavolozza dell'Angelico.
Emozionante è la scena nella quale San Girolamo toglie la spina dalla zampa del leone.
Prima di realizzare questi affreschi però Benozzo Gozzoli aveva dipinto un polittico, destinato alla chiesa di San Fortunato: La Madonna della cintola. Nel 1848 il quadro fu donato dalla municipalità di Montefalco al Pontefice Pio IX dopo che quest'ultimo aveva concesso al comune il titolo di città. Si trova quindi di solito ai musei Vaticani ma, in occasione del suo restauro è stato esposto nella chiesa di San Francesco a Montefalco; un'occasione unica per ammirare l'opera nella città di origine nel ritrovato spendore dei suoi colori.
La Vergine che sale al cielo lascia a San Tommaso la cintola (oggi la reliquia è conservata nel duomo di Prato) che rappresenta il legame tra terra e cielo e che è la prova, per lo scettico apostolo, che già aveva dubitato della resurrezione di Cristo, dell'effettiva assunzione in Paradiso della Madonna.

Nella predella sottostante sono le immagini dei momenti essenziali della sua vita: nascita, sposalizio, annunciazione, natività di Cristo, circoncisione, morte della vergine.
Frate Antonio chiamò il trentenne Benozzo Gozzoli, il migliore allievo e a quell’epoca ormai socio del Beato Angelico, e gli affidò per la “sua” Montefalco, l’esecuzione di una pala d’altare che doveva essere quadrata – come voleva Leon Battista Alberti – senza decori di fogliami e di pinnacoli dorati. Doveva essere concepita, organizzata e messa in figura “secondo prospettiva”, come il Beato Angelico e, prima di lui e insieme a lui, Masaccio e Domenico Veneziano, Donatello e ser Brunellesco avevano insegnato. Doveva presentarsi infine agli occhi del riguardante, nella «amistà dei colori», nel variegato gioco cromatico dei pigmenti fra loro «amici» che – è ancora l’Alberti del De Pictura a parlare – «pigliano variazione dai lumi», mutano cioè tono e splendore a seconda dell’incidenza della luce.
Il risultato è uno dei capolavori del Rinascimento pittorico italiano: carpenteria lignea di straordinaria qualità, quasi un capolavoro di ingegneria strutturale, arrivato miracolosamente intatto fino ad oggi; cromia tenera e luminosa, sottigliezze fiamminghe degne dell’Angelico”.
Antonio Paolucci, curatore della mostra

Circondata da una corona di angeli, su uno sfondo d'oro, la Vergine porge delicatamente la sua cintura a Tommaso. A destra è un leccio, albero che ricorda San Fortunato, nella cui chiesa doveva essere collocata la pala. Armonioso e dolce è il contrasto tra l'oro dello sfondo e i colori degli abiti: azzurro, rosa, rosso, verde.

È stato lo storico dell'arte lituano Bernard Berenson, a fare il più bell'omaggio al pittore e nello stesso tempo a queste terre d'Umbria: “Benozzo sembra aver dimenticato il Paradiso celeste che gli aveva insegnato il suo maestro, il Beato Angelico, per raccontare quel paradiso che è il lembo di terra compreso tra Montefalco e Assisi”.

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