Il
museo San Francesco, allestito attorno e all'interno della chiesa
omonima di Montefalco, accoglie una bella collezione di dipinti e di
arte sacra. Vi si possono anche ammirare, - ed è senz'altro questo
il momento più interessante della visita – gli affreschi di
Benozzo Gozzoli, affreschi che ornano i muri dell'antica chiesa ormai
sconsacrata.
Allievo
del Beato Angelico, Benozzo di Lese di Sandro, passato alla posterità
con il nome di Gozzoli (nome che gli fu attribuito dal Vasari, non si
sa con certezza perché) realizzò gli affreschi dell'abside nella
chiesa di Montefalco e poi quelli delle cappelle dedicate a San
Girolamo e a San Bernardino da Siena a partire dal 1450 dopo aver
terminato, nella chiesa di San Fortunato il suo primo incarico da
Maestro.
Furono
i francescani conventuali a
chiedergli di compiere
un ciclo di dipinti incentrati sulla vita del Santo fondatore
dell'ordine. Benozzo Gozzoli conosceva evidentemente il lavoro
realizzato da Giotto per la basilica di Assisi anzi,
in un medaglione egli rende
omaggio al suo
concittadino pittore
fiorentino associandone
il ritratto a quello di altri
due concittadini illustri: Dante e Petrarca.
L'esempio
dell'opera di Giotto è quindi presente nelle rappresentazioni di
Montefalco ma, almeno
in questo primo periodo della sua vicenda artistica,
Benozzo Gozzoli lavora anche
- soprattutto -
nel ricordo dell'insegnamento
del Beato Angelico.
Un'arte definita “ingenua” ma nel senso
positivo del termine; che
lascia da parte ragionamenti
troppo razionali affidandosi principalmente
alle emozioni. I paesaggi
naturali, le umanissime espressioni dei personaggi devono molto alla
lezione di Giotto ma
i colori, limpidi e tersi,
ricordano la tavolozza
dell'Angelico.
Emozionante
è la scena nella quale San Girolamo toglie la spina dalla zampa del
leone.
Prima
di realizzare questi affreschi però
Benozzo Gozzoli aveva dipinto un polittico, destinato alla
chiesa di San Fortunato: La Madonna della cintola. Nel
1848 il quadro fu donato dalla
municipalità di Montefalco
al Pontefice Pio IX dopo che
quest'ultimo aveva concesso al comune il titolo di città.
Si trova quindi di solito ai musei Vaticani ma, in occasione del suo
restauro è stato esposto nella chiesa di San Francesco a Montefalco;
un'occasione unica per ammirare l'opera nella città di origine nel
ritrovato spendore dei suoi colori.
La
Vergine che sale al cielo lascia a San Tommaso la cintola (oggi
la reliquia è conservata nel duomo di Prato) che
rappresenta il legame tra terra e cielo e
che è la prova, per lo scettico apostolo, che
già aveva dubitato della resurrezione di Cristo,
dell'effettiva assunzione in Paradiso della Madonna.
Nella
predella sottostante sono le immagini dei momenti essenziali della
sua vita: nascita, sposalizio, annunciazione, natività di Cristo,
circoncisione, morte della vergine.
“Frate
Antonio chiamò il trentenne Benozzo Gozzoli, il migliore allievo e a
quell’epoca ormai socio del Beato Angelico, e gli affidò per la
“sua” Montefalco, l’esecuzione di una pala d’altare che
doveva essere quadrata – come voleva Leon Battista Alberti –
senza decori di fogliami e di pinnacoli dorati. Doveva essere
concepita, organizzata e messa in figura “secondo prospettiva”,
come il Beato Angelico e, prima di lui e insieme a lui, Masaccio e
Domenico Veneziano, Donatello e ser Brunellesco avevano insegnato.
Doveva presentarsi infine agli occhi del riguardante, nella «amistà
dei colori», nel variegato gioco cromatico dei pigmenti fra loro
«amici» che – è ancora l’Alberti del De
Pictura a
parlare – «pigliano variazione dai lumi», mutano cioè tono e
splendore a seconda dell’incidenza della luce.
Il
risultato è uno dei capolavori del Rinascimento pittorico italiano:
carpenteria lignea di straordinaria qualità, quasi un capolavoro di
ingegneria strutturale, arrivato miracolosamente intatto fino ad
oggi; cromia tenera e luminosa, sottigliezze fiamminghe degne
dell’Angelico”.
Antonio
Paolucci, curatore della mostra
Circondata
da una corona di angeli, su uno sfondo d'oro, la Vergine porge
delicatamente la sua cintura a Tommaso. A destra è un leccio, albero
che ricorda San Fortunato, nella cui chiesa doveva essere collocata
la pala. Armonioso e dolce è il contrasto tra l'oro dello sfondo e i
colori degli abiti: azzurro, rosa, rosso, verde.
È
stato lo storico dell'arte lituano Bernard Berenson, a fare il più
bell'omaggio al pittore e nello stesso tempo a queste terre
d'Umbria: “Benozzo sembra aver dimenticato il Paradiso celeste
che gli aveva insegnato il suo maestro, il Beato Angelico, per
raccontare quel paradiso che è il lembo di terra compreso tra
Montefalco e Assisi”.
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