venerdì 22 giugno 2018
Peter Matthiessen, Il leopardo delle nevi.
Nella
notte chiara, le stelle brillanti scendono fino all'orizzonte e prima
dell'alba una striscia nera appare dietro i pini come se, al di là
della curva della terra, si potesse scorgere lo spazio infinito. Il
cerchio d'argento si muta in rosa, poi in bianco candido; il sole
accende il Churen Himal (7363 metri) e il Putha Hiunchuli, che è
esattamente 122 metri meno alto. L'aria è sonora. GS dichiara che
nell'est del Nepal, ai piedi dell'Everest, non ha visto niente che
valga lo spettacolo che ammiriamo dal nostro spiazzo, quasi
completamente circondato da alte guglie di ghiaccio.
Leggendo
il libro di Peter Matthiessen si dimentica a volte che si tratta di
un racconto di viaggio. Lunghe parentesi di considerazioni
filosofiche e di digressioni sulle religioni orientali, spunti di
riflessioni autobiografiche, analisi etnologiche interrompono la
progressione, o piuttosto il resoconto della progressione tra le
montagne del Nepal. Peter Matthiessen e George Schaller sono diretti
nella regione del Dolpo, una delle più segrete del Nepal, centro
vivo del buddismo e delle sue esperienze mistiche più profonde,
originarie del Tibet. In passato infatti, abbandonata la loro terra
d'origine sotto occupazione cinese, i monaci si erano rifugiati tra
queste montagne himalayane, trovando qui pratiche religiose
sciamaniche più antiche che si perpetuavano in monasteri praticanti
il rito bon.
Peter
Matthiessen ha lasciato in America quattro figli, tre già grandi ma
l'ultimo, Alex, di solo otto anni. Viaggerà sempre con il senso di
colpa provocato da questo provvisorio ma lungo abbandono.
La
moglie è morta prematuramente, l'anno precedente, e per lui che
pratica già da tempo il buddismo zen, questo viaggio verso le
Montagne Celesti è un po' come un antidoto alla depressione.
Parte,
nel settembre del 1973, al seguito dello zoologo George Schaller per
una spedizione che ha come scopo l'osservazione del bharal,
la “pecora blu” dell'Himalaya, e
del fantomatico leopardo delle nevi, animale quasi leggendario,
raramente avvistato, ma la cui presenza tra queste montagne sembra
confermata.
Partiti
da Kathmandu, i due raggiungono in fuoristrada Pokhara, duecento
chilometri ad ovest, ultimo
bastione del mondo moderno.
Da qui comincia la loro marcia. Quattrocento chilometri a piedi per
quello che è anche un viaggio nel tempo. Dice Matthiessen: in
un giorno di cammino abbiamo percorso dei secoli.
Il
percorso verso le valli più nascoste del Dolpo è lungo e difficile.
Si sale verso valichi altissimi fino al Kang
La a quasi seimila
metri di quota, dominati da massicci
immensi
come l'Annapurna e
il Dhaulagiri a più di ottomila metri.
Si
devono attraversare torrenti in piena, bisogna
arrampicarsi
tra rocce e tronchi sradicati e trasportati da torrenti impetuosi
che
scendono dai ghiacciai. I
due sono
accompagnati
da sherpa e da abitanti del luogo che salgono tra le rocce, lungo
impervi sentieri con il loro carico tenuto alla fronte da una
cinghia. È autunno e la neve comincia a cadere a quote relativamente
più basse, altrimenti sono le ultime piogge dei monsoni a rendere
non proprio allegro
e ridente, nella
prima parte del viaggio, il paesaggio circostante. I villaggi sono
poveri, a volte miserabili e la
scoperta di
questa miseria non lascia indifferente Matthiessen che racconta
incontri sconvolgenti
di fronte ai quali è difficile trovare il buon atteggiamento: Una
bambina con le gambe difformi e inutili si trascina sul pendio
all'uscita del villaggio. Il naso contro le pietre, lo sterco di
capra, i rivoli di acqua fangosa, si arrampica come un grillo ferito.
Noi esitiamo, vergognandoci dei nostri solidi polpacci: lei se ne
accorge e alza verso di noi i suoi occhi limpidi, senza amarezza; la
compatiamo ancora di più perché è graziosa. GS spiega con un tono
turpe che nel Bengala i mendicanti spezzano le ginocchia ai figli per
renderli più pietosi:
è il modo che ha di esprimere la sua emozione. Ma la bambina che
giace ai nostri piedi non è una mendicante; è solo una bambina che
osserva con curiosità dei grandi stranieri bianchi.
Il
gruppo arriverà al monastero Skey, sulla montagna di Cristallo il
primo novembre 1973 e
resterà sul posto una
quindicina di giorni. I due
viaggiatori avranno modo di osservare a lungo e anche da molto vicino
i bharal che sembrano abbastanza numerosi. Le osservazioni
scientifiche occupano una buona parte del loro tempo ma Matthiessen
è interessato soprattutto
alla pratica della
meditazione e dall'incontro
con il Lama del monastero che si è ritirato in un eremitaggio ancora
più isolato. Karma Tupjuk è un monaco di cinquantadue anni, da
tempo si è appartato
in questo luogo
e dice di sperare
di restarvi fino alla fine dei suoi giorni. L'artrite ha deformato le
sue gambe e si muove difficilmente con l'aiuto di stampelle. Ma
sembra felice; mostrando
le sue gambe difformi, senza traccia di autocompassione né di
amarezza, come se esse appartenessero a noi, leva,
aprendole, le braccia verso il cielo, le montagne coperte di neve, il
sole e i bharal danzanti e esclama: “Certo che sono felice qui! È
meraviglioso! Tanto più
che non ho scelta!”
All'alba del 18 novembre Peter
Matthiessent riprende il cammino verso Saldang, a nord est mentre
George Schaller resta ancora a Skey nella speranza di poter osservare
il leopardo delle nevi di cui per il momento non ha visto che
impronte sulla neve ed escrementi, religiosamente raccolti.
Per Matthiessent il viaggio
scientifico si è trasformato poco a poco in pellegrinaggio e il
fantomatico leopardo è diventato quasi un simbolo della sua ricerca
interiore. Il fatto di non averlo trovato è per lui un segno Ma
non sono pronto a mollare gli ormeggi, ecco perché non troverò la
soluzione al mio koan, perché non vedrò il leopardo delle
nevi, cioè non lo percepirò. Non lo vedrò perché non sono
pronto.
Il ritorno nel mondo sarà
difficile. Dopo aver vissuto quasi due mesi in un universo
completamente fuori dal tempo, lasciando il Dolpo Matthiessen sente
un profondo disagio fisico e psicologico dovuto probabilmente anche
al repentino cambio di altitudine. Inoltre niente è cambiato:
resto come prima preda delle avidità, dell'ego, delle emozioni,
degli eterni dettagli ossessionanti, delle irritazioni di questa
dolorosa rottura tra quello che so e quello che sono.
Ma poi ripensa alle parole del
lama Tupjuk della montagna di Cristallo, l'amore per quella vita che
d'altronde non si è scelta.
E Matthiessen si rende conto
infine che probabilmente la guida spirituale a lungo cercata era
accanto a lui; lo sherpa Tukten che lo accompagnato durante il
percorso e che, non a parole ma con i suoi gesti, con il suo
atteggiamento, con la sua semplice presenza sembra rappresentare la
messa in pratica dell'insegnamento del lama, non la saggezza unica di
un uomo ma l'espressione magnifica di ciò che l'umanità ha di
divino.
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