La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



venerdì 21 giugno 2019

Alexandra David-Néel, Una parigina a Lhasa



Per giorni camminavamo nella semi-oscurità di fitte foreste vergini, poi, all’improvviso, una schiarita ci svelava paesaggi che non si vedono che in sogno. Picchi aguzzi, che puntavano alti nel cielo, torrenti ghiacciati, gigantesche cascate, le cui acque gelate appendevano scintillanti drappeggi alle creste delle rocce, tutto un mondo fantastico, di un candore accecante, sorgeva al di là della linea scura tracciata dai giganteschi abeti.
Guardavamo quello straordinario spettacolo, muti, in estasi, pronti a credere di aver raggiunto il limite del mondo degli umani e di trovarci sulla soglia di quello dei geni.

Quello che colpisce immediatamente, leggendo il libro di Alexandra David-Néel, è la leggerezza.
La leggerezza e la semplicità con cui la scrittrice ci racconta un’avventura straordinaria, probabilmente il momento culminante di una vita altrettanto straordinaria: a piedi dalla Cina a Lhasa la capitale del Tibet e poi ancora per centinaia di chilometri, fino in India.
L’accesso alla regione, sotto dominazione inglese, era vietato agli occidentali e i posti di controllo sulle principali strade del paese, impedivano il passaggio a chi non avesse una speciale autorizzazione. Nel 1924, Alexandra David-Néel fu la prima donna occidentale a visitare quei luoghi e ad arrivare nella capitale, sede del Dalai Lama “il pontefice del buddismo”.
Un personaggio davvero eccezionale Alexandra David-Néel; cercando qualche dato biografico si scopre il ritratto di un’orientalista, tibetologa, cantatrice d’opera, e femminista, giornalista e anarchica, scrittrice ed esploratrice, frammassone e buddista, lista che anche così resta incompleta perché bisognerebbe almeno aggiungervi etnologa, linguista e geografa.
La sua lunga vita di esploratrice (visse più che centenaria, dal 1868 al 1969) era cominciata a diciott’anni quando, in bicicletta, partì dal Belgio, dove la sua famiglia risiedeva, per andare fino in Spagna. Interessatasi fin dall’adolescenza alle filosofie orientali, si convertì al buddismo e non smise mai, in seguito, di approfondire i suoi studi e le sue conoscenze in questo campo, diventando senza alcun dubbio, uno dei più importanti eruditi in assoluto, dal sapere veramente enciclopedico, riconosciuta come Bodhisattva Illuminata da alcuni lama tibetani.
Il suo resoconto Viaggio di una parigina a Lhasa: a piedi e mendicando dalla Cina all’India attraverso il Tibet, primo volume di una trilogia pubblicata tra il 1926 e il 1933, tradotto in italiano nel 1992, racconta la genesi e il compimento di questa lunghissima escursione e si chiude, dopo otto mesi di cammino tra le montagne tibetane, con l’arrivo a Lhasa e con la descrizione della città, della sua società e dei suoi riti.
L’esploratrice era arrivata per la prima volta in oriente, nello Sri Lanka, a ventitré anni e da allora non aveva smesso di percorrere le vie dell’Asia.
L’idea di visitare il Tibet si era concretizzata nel 1912, dopo l’incontro con il Dalai Lama, che in quell’anno risiedeva, in esilio a Kalinpong, nella regione del Bengala.
Fu nel 1912 -racconta l’autrice nella prefazione – dopo un lungo soggiorno tra i tibetani dell’Himalaya, che gettai una prima occhiata sul Tibet propriamente detto. La lenta salita verso gli alti valichi fu un incanto poi, d’improvviso, mi apparve l’immensità formidabile degli altipiani tibetani, delimitati in lontananza da una sorta di miraggio sfumato, mostrando un caos di cime lilla e arancioni coperte da cappelli innevati.
Che visione indimenticabile! Il suo fascino mi ammaliò per sempre.
Il progetto si concretizzò una decina di anni più tardi.
Impossibile però di ottenere un permesso per visitare quel paese. Alexandra David-Néel decise dunque di entrarvi clandestinamente, travestita da mendicante e accompagnata de un giovane lama, Youngden, con il quale aveva già fatto molte escursioni e che diventerà poi suo figlio adottivo. E il travestimento non sarà solo esteriore. Alexandra David Néel sarà concretamente una mendicante, adottandone le abitudini, le coercizioni e lo stile di vita.
Sarà un viaggio lunghissimo ed estenuante, reso ancora più difficile dalla necessità di non farsi riconoscere come straniera e di evitare i posti di controllo. Salire fino a cinquemila metri di altezza, dormire all’aperto o sotto una leggera tenda, camminare per 19 ore, con calzature spartane, nutrendosi di tè al burro (alla maniera tibetana) e di un pugno di tsampa (farina d’orzo) e a volte quando le provviste sono finite, senza mangiare e senza bere. Fu una prova fisica straordinaria eppure mai, nel racconto che Alexandra David-Néel ci propone, si sente il peso di questa fatica. Evidente è invece l’entusiasmo e la passione che la guidano di fronte ad ogni scoperta, la capacità di affrontare tranquillamente i momenti più difficili e le situazioni più complicate.
Era veramente una cosa meravigliosa l’avere evitato tanti pericoli di diversa natura e di ritrovarmi dove ero, nel Po Yul, esattamente come lo avevo progettato e sulla strada di Lhasa.

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