La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



lunedì 1 novembre 2010

Corno Grande del Gran Sasso d'Italia: salita sulla vetta occidentale


Non si conosce con precisione l'itinerario seguito da Francesco De Marchi quando, il 19 agosto del 1573, salì sulla vetta occidentale del Corno Grande del Gran Sasso d'Italia. E probabilmente non fu neppure lui il primo a raggiungere quella cima; nessuno può dire se qualche cacciatore di camosci non l'avesse preceduto (anzi, il suo accompagnatore Francesco Di Domenico, cacciatore appunto, gli aveva assicurato di essere già salito lassù). Fatto sta che il racconto che il capitano bolognese ne fece, appassionante e dettagliato, ritrovato solo nel 1938, ha legato per sempre il suo nome a questa conquista, spodestando nell'immaginario collettivo, il teramano Orazio Delfico, fino ad allora considerato il primo e che era salito sulla vetta orientale nel 1794. De Marchi, grazie alla cronaca della sua impresa divenne in qualche modo, un po' come Petrarca sul Monte Ventoso, uno dei precursori dell'alpinismo moderno.
A 69 anni l'ingegnere aveva alle spalle una carriera militare di esperto in fortificazioni. Conosceva già l'Abruzzo per essere stato al servizio della corte romana dei Farnese che in questa regione avevano dei possedimenti e, a suo dire, l'idea di quella spedizione l'aveva avuta parecchio tempo prima:
Il detto Monte era trenta du’anni che io desiderava di montarci sopra per levar le dispute dell’altezze di altri Monti. Così andassimo d’Aggosto l’anno 1573, il signor Cesare Schiafinato milanese, e Diomede dall’Aqquila. Et andammo ad un Castello nominato Sercio, potemmo trovar nessuno che mai ci fusse stato, dico alla cima, ancorché questo castello sia il più presso verso l’Aqquila. Mi fu detto che vi erano certi Chacciatori di Camocce che vi erano stati sopra, e così dimandai à molti di loro e non trovai se non uno, nominato Francesco Di Domenico, il qual’era stato alla cima un’altra volta, e malamente vi voleva più tornare.
De Marchi riuscì a convincere Di Domenico e fu così che il gruppo partì da Assergi (Sercio) a cavallo, per raggiungere Campo Pericoli (Campo Priviti).Molto probabilmente si diresse verso la « Sella del Brecciaio », seguendo, almeno per un primo tratto, quella che oggi è considerata la via normale, ma non è esclusa un'altra via, magari più vicina all'attuale « direttissima » o al cosiddetto canale Bissolati. Sembrerebbe però che Di Domenico non ricordasse il percorso che diceva di aver già fatto e così la comitiva dovette cercare a lungo un passaggio praticabile per sbucare in vetta, raggiungendola infine dopo 5 ore e un quarto di tentativi. L'impressione però li ripagò di tutte le fatiche.Quand’io fuoi sopra la sommità, mirand’all’intorno, pareva che io fussi in aria, perche tutti gli altissimi Monti che gli sono appresso erano molto più bassi di questo.
In effetti attorno al Corno Grande il panorama spazia a 360 gradi sull'intera regione e ben al di là. In questa parte centrale, il gruppo del Gran Sasso svetta con la sua mole dolomitica tra tutte le montagne dell'Appennino, in generale più dolci e arrotondate. Quasi trecento metri separano la cima più elevata dalle altre appartenenti allo stesso gruppo ( il Corno Piccolo 2655 e il Pizzo Intermesoli 3635).
Addunque questo monte è veramente il più alto e il più orrido di tutti i monti d’Italia perche sendo alla cima si vede il Mare Adriatico, il Ionico, et il Tirreno, et se non vi fussero tanti monti trà mezzo si vederebbe ancora il Mar Ligustico.
Oggi la salita al Corno Grande non è più l'impresa epica delle origini e spesso, nelle domeniche estive, c'è folla sulla via. Nonostante tutto, scegliendo il giorno adatto, l'esperienza è magnifica.
Dal versante aquilano si parte a fianco dell'orto botanico e dell'osservatorio. Ci si inerpica per il sentiero che si dirige verso il visibile rifugio Duca degli Abruzzi per poi biforcare quasi subito a destra attraversando in diagonale le pendici del monte Portella. Sulla destra, (verso sud) il paesaggio spazia sull'altopiano di Campo Imperatore, chiuso in fondo dalle coste del monte Bolza, Capo la Serra, Guardiola. Dietro si intravede la cresta della Maiella. L'ampia prateria, ad un'altezza variabile tra i 1500 e i 1700 metri, risale dal nostro lato fino ai 2200 del punto di partenza dell'escursione. Sotto il sentiero il paesaggio è carsico, crepe di pietra bianca intagliano i prati sui quali una mandria di mucche pascola mostrando abile equilibrio.
L'ultimo tratto di sentiero, prima della sella si fa più ripido e roccioso, poi si sbuca sulla cresta che separa questo versante da Campo Pericoli.L'ampio anfiteatro è esposto a nord, come un gigantesco imbuto verso la val Maone. Adesso è deserto. In basso, sotto le pendici del Corno si vede il rifugio Garibaldi. Il più vecchio dei rifugi del Gran Sasso funziona dal 1886, ma la sua posizione fa sì che d'inverno è facilmente sepolto dalla neve. Fu per questo che si costruì il Duca degli Abruzzi, più visibile sulla cresta del Portella. Nell'ampia valle il sole che arriva di sbieco mette in evidenza le doline.
Il sentiero scende a destra verso il monte Aquila ma, quasi subito biforca. A destra, in salita, verso la sommità di questo monte o verso la sella di Corno Grande. La via normale è quella di sinistra che, attraversando come un'iperbole il lato orientale del Campo si inerpica nell'ultimo tratto su un grande brecciaio, salendo fino alla sella omonima. Siamo a circa 2500 metri di quota, la spalla del monte è un luogo di sosta, dove riprendere il fiato; di fronte è l'immensa parete orientale del Pizzo Intermesoli.
Il sentiero riprende a salire, aggirando la montagna verso nord. Alla Conca degli invalidi una traccia si stacca sulla destra: è la via che sale seguendo la dorsale occidentale, più rapida ma anche più esposta. Davanti a noi, con una lunga diagonale, il sentiero principale continua a salire, faticosamente, tra rocce e ghiaia fino alla cresta che protegge il ghiacciaio del Calderone.Le belle pareti del versante nord del Corno piccolo sono ancora nell'ombra. Si continua a salire, su rocce più solide, verso la cima. Il panorama è spettacolare, il sole colora di riflessi dorati le guglie del monte. Il cielo è di cobalto. Un gracchio vola in cerchio lasciandosi portare dal vento.

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