La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 5 marzo 2011

Camminare per vivere

 Né città né campagna. La metropolitana ha qui un lungo tratto aereo. Passa su un nastro di cemento sostenuto da pesanti piloni e interrotto dalla stazione, anch'essa sopraelevata. Sparsi qua e là palazzotti di mattoni rossi e di vetro, sedi di ditte e società varie. Un ristorante, aperto nella zona per accogliere i molti impiegati che lavorano nei dintorni. Qualche prato e un intrico di strade e autostrade con gli immancabili centri commerciali nei paraggi. 
Fu nel 1970 che si decise la creazione di una nuova città. Nuova solo in parte perchè si riunirono tre comuni che già esistevano. Si costruirono altri quartieri, molte imprese si installarono nella zona. Ma, sul vasto territorio, le zone urbane continuarono ad essere separate tra loro da ampi spazi: prati, parchi, campi coltivati. Ancora oggi è una città in cui il solo vero centro è un grande supermercato.  
Né città né campagna dunque. Soprattutto dopo le ore di chiusura degli uffici, rari sono i pedoni. Si è tentato di dare al posto un aspetto più attraente, meno artificiale, ma è difficile. Anche facendo «fiorire la città» come dicono i cartelli del comune. E ormai nella regione la moda è ai fiori di campo. Terrapieni, giardinetti, scarpate; le fioriture selvatiche hanno sostituito, come decorazione, i più classici tulipani o forsizie. Arriva l'autunno e una rapida falciata fa piazza pulita dei resti di erbacce, fino allla primavera seguente.  
Davanti alla stazione della metropolitana c'è una rotonda con al centro un complicato ornamento di cespugli e alberelli. E da qualche anno anche lo spazio che separa, lì vicino, le due carreggiate dello svincolo dell'autostrada si trasforma a primavera in un'aiuola di fiorellini multicolori.
Poi un giorno un uomo si installa al semaforo. Non sembra un barbone. È vestito in modo decoroso, porta uno zainetto sulle spalle. Ha con sé un cartello che tiene all'altezza del petto, con su scritta la richiesta di qualche moneta. I giorni passano, le settimane, ed è sempre lì, dal mattino alla sera. Aspetta che il semaforo passi al rosso e si incammina verso la fine della coda di automobili in attesa. Non dice niente, nessun gesto di preghiera o di domanda, avanza lentamente, guarda in faccia gli automobilisti e mostra il suo cartello con la richiesta di aiuto.  
Qualcuno gli dà una moneta, altri fanno finta di non vederlo, sperando magari che il semaforo rapidamente diventi verde.  
Quando le automobili ripartono l'uomo torna al punto di partenza. Aspetta vicino al semaforo fino al rosso successivo. Poi ricomincia. Sono una trentina di metri, percorsi centinaia di volte. Senza volerlo, dove c'era l'aiuola ha tracciato un sentiero, netto, preciso. Per riposarsi attraversa la strada e si siede nella scarpata, nascosto agli sguardi degli automobilisti. Mangia qualcosa poi torna al suo posto e si rimette in cammino.  
Poco lontano un gruppetto di persone con scarponcini da marcia e bastoncini di alluminio passa, seguendo le indicazioni del percorso natura che va verso il parco urbano.

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