La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 12 marzo 2011

D.H.Lawrence: Paesi etruschi

Qualche anno fa, più precisamente nel 2006, si scoprì che alcune delle tombe della necropoli etrusca di Veio erano abitate. Occupate abusivamente da qualcuno che, in mancanza di meglio, le aveva trasformate in precarie abitazioni.
I giornali parlarono di uomini come topi con un misto di incompren- sione e di disprezzo. Certo non deve essere divertente vivere in tali condizioni, non fu certo una scelta di vita. E quelle tombe erano già state profanate da tempo, saccheggiate di ogni cosa preziosa dai proprietari dei terreni o svuotate per riempire i musei.
Chissà che cosa ne avrebbe pensato David Herbert Lawrence, che era stato da queste parti e che aveva visitato le necropoli nel 1927.
Lo scrittore inglese, viaggiatore indefesso, aveva già fatto il giro del mondo e soggiornato più volte l'Italia. Nel 1926 si era stabilito a Scandicci, anche alla ricerca di un clima più salubre per la tubercolosi che lo aveva colpito.
Il suo interesse per gli etruschi non era recente. Lawrence più che da scienziato li osservava come un appassionato, un colto dilettante capace però di approfondire i suoi studi come i migliori esperti. Le sue teorie sull'interpretazione delle loro sculture e pitture sono state a volte discusse e contestate ma quello che nonostante tutto colpisce e che attrae è la sua volontà di ridare un aspetto vivente e soprattutto un senso alla storia di questo popolo.
Del viaggio del 1927, fatto in compagnia dell'amico Earl Brewster, Lawrence scrisse un resoconto, pubblicato nel 1932 in Inghilterra, dopo la sua morte quindi, e solo nel 1985 in Italia con il titolo Paesi Etruschi.
Era certo un sogno, forse uno degli ultimi di un romanticismo ormai fuori tempo, quello di voler ritrovare gli etruschi nell'Italia degli anni Venti. Perchè in definitiva era questo lo scopo del pellegrinaggio selvaggio che lo scrittore aveva intrapreso per visitare le necropoli di Cerveteri, Tarquinia Veio e Volterra.
Lawrence vedeva negli etruschi non il popolo rozzo e arcaico, sconfitto e assimilato dal superiore mondo romano, descritto dalla maggior parte degli storici, al contrario, per lui queste genti, la cui origine resta un mistero, avevano avuto una cultura complessa, ricca di simboli e di riferimenti, i cui valori multiformi non si erano totalmente spenti con l'arrivo della Roma imperiale.
Per questo apprezzava tra i dipinti delle tombe di Tarquinia, piuttosto l'«ingenuità» arcaica e considerava meno importanti quelli che secondo lui erano già toccati dall'infusso romano.
Per Lawrence la civiltà etrusca non era mai scomparsa completamente. Come un fiume sotterraneo aveva continuato ad irrigare la cultura dei popoli di questa parte dell'Italia centrale: negli affreschi di Giotto si intuiva, secondo lui, l'eredità artistica di quel mondo.
Ma nell'Italia del 1927 il regime di Mussolini si è ormai installato al potere. Mentre Lawrence è a Volterra il podestà sostituisce il sindaco e lo scrittore sopporta a malinquore quella che, a suo parere, non è che l'ennesima, ingiusta prevaricazione della Roma imperiale sulle genti italiche. È stizzoso dunque, quando, durante il suo viaggio, si trova ad assistere a queste cerimonie fasciste. Perché non salutano all'etrusca piuttosto che alla romana?
Eppure proprio questa concezione della cultura, che lo porta a rigettare la dittatura, sfocia in un atteggiamento considerato da alcuni ambiguo: l'idea di un popolo possessore di una superiorità intrinseca, genetica si direbbe oggi. Sono, si disse, equivoci riferimenti a concetti razziali e una visione elitista della storia intrisa di un irrazionalismo anti illuminista.
Giudizio forse troppo severo.
Resta il racconto di quel viaggio. Un racconto suggestivo perché non da erudito ma da scrittore, osservatore attento non solo del mondo del passato ma anche degli uomini a lui contemporanei. Attento e critico ma senza la vena di altezzosa superiorità che si ritrova a volte nei resoconti dei viaggiatori del nord Europa.
E infatti il racconto di Lawrence finisce a Volterra, con un ultimo sguardo non sul mondo antico ma sulle moderne carceri della città. La storia di due detenuti che avevano scolpito due copie delle loro teste, mettendole nelle brande per ingannare i secondini mentre loro scavavano la via di fuga: Il direttore, che amava molto il suo ostello di malfattori perse il posto, anzi, fu buttato fuori a calci. Strano anche questo. Dovevano dargli un premio per avere due pupilli così in gamba, scultori di pane.

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