sabato 26 marzo 2011
Il grande silenzio
Nel 1984 il regista tedesco Philip Gröning prepara il progetto per un documentario sulla Grande Chartreuse, il monastero benedettino sulla montagna omonima nel Delfinato francese. Scrive ai monaci per avere l'autorizzazione. Nel 1999, dopo quindici anni, riceve la risposta e l'accordo della comunità.
Il film si può fare ma a determinate condizioni: nessun commento, nessuna musica aggiunta, nessuna illuminazione artificiale; il regista sarà solo a fare le risprese. Philip Gröning accetta, anche perché questi vincoli in realtà corrispondono alla sua idea di partenza per il film.
Così passerà sei mesi nel monastero, condividendo la vita dei suoi abitanti.
Ogni monaco partecipa alle funzioni collettive, ha un tempo personale di preghiera e di meditazione ed ha poi un attività personale: falegname, giardiniere, sarto. L'attività di Gröning sarà la realizzazione del documentario. Filmerà ore ed ore a volte alla luce di una candela o a quella del fuoco di una stufa. Il risultato sarà un film di una grande intensità e di una bellezza semplice e spoglia.
La lenta ripetizione delle azioni, le lunghe sequenze su attimi di immobilità, richiedono allo spettatore la disponibilità ad un'esperienza sicuramente inconsueta. Senza questa disponibilità l'unico sentimento ad imporsi sarà la noia. Ma se si accetta di condividere, anche solo attraverso le immagini, il quotidiano dei monaci senza a priori, e al di là dell'aspetto religioso, si rimarrà sorpresi e affascinati dal film.
Un silenzio cha sembra venire dalla notte dei tempi e che il regista racchiude in quasi tre ore di documentario. Solo i rumori della natura circostante (ruscello, vento, uccelli), quelli della vita quotidiana, i canti durante le funzioni e qualche raro parlottio, fuori dalle mura del monastero, lo interrompono.
Le stagioni si succedono, con il ritmo lento della preghiera e del lavoro. Philip Gröning integra questa ripetizione nel montaggio del film, segue, ad uno ad uno, i monaci nella loro giornata. Le didascalie, che appaiono di tanto in tanto, non sostituiscono le parole assenti, esse si ripetono uguali, come il succedersi delle preghiere e delle azioni. Il regista attarda il suo obiettivo su dettagli che riempiono lo schermo: una goccia d'acqua che si stacca da un piatto appena lavato, ancora acqua, quella dell'acquasantiera, la fiamma di una candela nel buio della notte. In un mondo che sembra essersi fermato solo qualche oggetto, quasi anacronistico (un computer, le bottiglie d'acqua di plastica) situa l'azione nella modernità.
I monaci sono osservati nella loro umanità, non come esseri trascendenti. E così li vediamo durante un'escursione giocare sulla neve come bambini, o discutere intensamente, fuori dalle mura, sulla necessità di lavarsi le mani prima delle funzioni. Una serie di primi piani dei loro volti sospende l'azione del film. Nel silenzio e nell'immobilità questi dicono più di molte parole, rivelando caratteri e umori.
Le immagini di fiori, neve, cielo stellato, nuvole, fanno da contrappunto a quelle del monastero.
La fissità della macchina da presa è necessaria perché evita allo spettatore il sentimento di intrusione; non si ha mai l'impressione di violare uno spazio privato. E dell'umano mondo estrerno (un gruppo di turisti in visita ) filmato da lontano, le voci non sono che brusio indecifrabile, così da sottolineare la distanza che separa questo luogo di solitudine dalle vicende terrene.
Filmando la vita dei monaci Gröning si era fissato come scopo quello di osservare come la struttura del tempo può cambiare chi ha scelto una vita di preghiera ripetuta perpetualmenete, in un luogo che non si lascerà mai. Alla fine dell'esperienza egli stesso sente di essere cambiato:
Ogni nozione di peccato, di colpa e di redenzione è assente. Ci sono solo grazia, gratitudine e leggerezza. Se ne esce liberati dalla paura, dominati dalla fiducia. Non si ha nemmeno più paura di morire.
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Piu' che un commento, la mia è una domanda.
RispondiEliminaLe tre ore del film sono trascorse in un battibaleno e ciò significa che si tratta di un
lavoro fuori dal comune che ti prende ed entra
in profondità. Anche io lo annovero tra i migliori film degli ultimi anni. Quello che non riesco a comprendere è perchè mi ha lasciato una forte sensazione di tristezza quasi di paura.Mi piace l'introspezione ma ho un carattere positivo e non mi deprimo nell'affrontare le difficoltà della vita. Stavolta però non riesco a darmi una risposta. Ho rimosso esperienze simili vissute nell'infanzia? Ma non è possibile. Ho paura di restare solo ? Ma non ne ho il motivo. Allora cosa può essere? Mi piacerebbe conoscere le sensazioni provate da altri spettatori.