Un'escursione
sui luoghi tragici della prima guerra mondiale. Perché,
ora che gli ultimi superstiti della guerra sono scomparsi, il
paesaggio è l'ultimo testimone di quegli avvenimenti; permette di
trasmetterne le tracce
e suscita
riflessioni ed emozioni.
La presenza fisica su un sito, al
di là di scritti e immagini,
può in effetti rendere più sensibile l'empatia verso quegli uomini.
Oggi il
paesaggio è bucolico, prati e boschi con qualche cascina qua e là.
Il luogo è agreste anche se non siamo lontani dalla zona mineraria e
sullo sfondo si vedono i “terrils”, le colline artificiali
costituite dalle scorie dell'estrazione del carbone.
Ma al di là dei
monumenti e dei cimiteri, quei cinque anni di guerra hanno segnato e
modificato il paesaggio; quello che vediamo è ancora, almeno in
parte, il risultato di quei combattimenti.
Queste
terre dell'Artois furono già duemila anni fa occupate dalle truppe
romane. Giulio Cesare le colonizzò, modificando sostanzialmente il
paesaggio celtico. Il bocage
parcellizzato da siepi e alberi fu distrutto per lasciare il posto a
larghe distese coltivate a grano,
necessario
per nutrire la popolazione dell'impero.
Tra
il 1914 e il 1918 la linea del fronte passava da qui. Da un lato i
tedeschi, dall'altro i francesi e le truppe del Commonwealth,
si affrontarono in scontri
sanguinosi quanto inutili, avanzando o indietreggiando di pochi
chilometri, a volte di qualche metro.
Durante
la “grande guerra” l'avanzata delle truppe dell'Impero tedesco
sulla via di Parigi era stata bloccata su un
fronte che andava da
Dunkerque, sul Mare del Nord,
alla Svizzera.
Per
gli strateghi dei due campi le colline dell'Artois erano diventate un
nodo essenziale. In una regione completamente pianeggiante erano qui
gli unici rilievi che permettevano il controllo del territorio
circostante e in particolare della città di Arras, restata in
territorio francese ma minacciata dall'esercito tedesco.
Per
le truppe australiane, neozelandesi, canadesi, all'epoca ancora
colonie inglesi, fu su queste terre che nacque la loro storia
nazionale. I cimiteri militari sono visitati dai discendenti di
quegli uomini che avevano fatto migliaia di chilometri per venire a
combattere e morire un un paese che spesso non conoscevano e del
quale non sapevano nulla.
Partiamo
dalla chiesa di Notre Dame
de
Lorette. Circondata da un cimitero francese,
necropoli nazionale con
20000 tombe e un ossario con 22000 militi ignoti;
essa si trova su una delle creste tanto contese. È l'unico edificio
religioso
presente in questi
luoghi di memoria; fu costruito nel
1925 sul sito di una
precedente chiesetta dedicata a Nostra Signora di Loreto (Notre
Dame de Lorette appunto).
Di fronte è l'Anello della
Memoria, inaugurato l'11 novembre 2014 in occasione del centenario
della guerra.
Si tratta di un grande cerchio, all'interno del quale,
su 499 pannelli sono incisi nomi di 579606 caduti sul fronte del
Nord-Pas-de-Calais dal 1914 al 1918.
I nomi sono in ordine
alfabetico, senza distinzione di grado né di nazionalità. L'anello
è in parte sul vuoto e sembra in bilico, per ricordare la precarietà
della pace.
I
paesini attorno, nella pianura sottostante, furono interamente
ricostruiti nel dopoguerra ma si lasciarono intatte le rovine di una
chiesa per ricordare le distruzioni subite.
Ai
piedi della collina è un
edificio costituito da una
serie di blocchi di cemento verniciati in
nero che ospita
il museo della grande guerra.
Attraversiamo la campagna e risaliamo
verso la Cresta di Vimy. È
un luogo altamente simbolico per i canadesi. Furono le loro truppe a
combattere accanitamente per conquistare questo balcone strategico.
Il gigantesco monumento in pietra bianca raffigura tutti i simboli
dell'epopea delle truppe canadesi. Vimy è un nome conosciuto in quel
paese.
Il monumento è rappresentato sui biglietti da 20 dollari.
Il
sito è stato donato dallo Stato francese al Canada e sono quindi i
canadesi ad occuparsene e ad accompagnare i visitatori.
Dietro
il monumento il terreno porta le tracce dei bombardamenti: una
successione di avvallamenti più o meno grandi, secondo la potenza
delle esplosioni sono oggi coperti da un'erba brillante.
Le bombe
inesplose sono ancora numerose e, per evitare il pericolo che
potrebbero incorrere i falciatori, sono le pecore ad essere
incaricate del taglio dell'erba.
Ci
furono scene di fraternizzazione: les soldats
sortaient des tranchées pour ne pas se noyer. Deux armées se
faisaient face et s’échangeaient le vin et le tabac.Ma
furono rapidamente represse dai comandi dei due campi.
Per
ogni caduto è stato piantato un pino silvestre. Il bosco è
cresciuto rigoglioso ed impedisce l'erosione del terreno conservando
così gli avvallamenti provocati dalle bombe.
Qua e là piccoli
cimiteri tutti uguali (nella tradizione anglosassone i caduti sono
sepolti il più vicino possibile al luogo della loro morte) con al centro la
croce di San Giorgio su cui è incastonata una spada.
È
stato ricostruito un tratto delle trincee nelle quali i soldati
vivevano, ma esse non ha senz'altro nulla in comune con i cunicoli
fangosi e pestilenziali che erano in realtà. Così come appaiono
idillici e agresti questi prati che all'epoca furono coperti di
cadaveri di uomini e animali.
Ma
dalla terra e dall’aria fluiscono pure in noi forze di difesa;
soprattutto dalla terra. A nessuno la terra è amica quanto al fante.
Quando egli vi si aggrappa, lungamente, violentemente; quando col
volto e con le membra in lei si affonda nell’angoscia mortale del
fuoco, allora essa è il suo unico amico, gli è fratello, gli è
madre; nel silenzio di lei egli soffoca il suo terrore e i suoi
gridi, nel suo rifugio protettore essa lo accoglie, poi lo lascia
andare, perché viva e corra per altri dieci secondi, e poi lo
abbraccia di nuovo, e spesso per sempre.
Terra, terra, terra.
Terra, con le tue pieghe, con le tue buche, coi tuoi avvallamenti in
cui ci si può gettare, sprofondare. Terra, nello spasimo
dell’orrore, tra gli spettri dell’annientamento, nell’urlo
mortale delle esplosioni, tu ci hai dato l’enorme risucchio della
vita riconquistata! La corrente della vita, quasi distrutta, rifluì
per te nelle nostre mani, così che salvati in te ci seppellimmo, e
nella muta ansia del momento superato mordemmo in te la nostra
gioia!
Di colpo, al primo tuonare di una granata, torniamo con
una parte di noi stessi indietro di migliaia d’anni. È un intuito
puramente animale quello che in noi si ridesta, che ci guida e ci
protegge.
Incosciente, ma assai più rapido, più sicuro, più
infallibile che non la coscienza. Non si può spiegare; si va senza
pensare a nulla, ed ecco che ad un tratto ci si trova in un
avvallamento del terreno, mentre sopra noi volano schegge di granata,
ma non ci si ricorda di aver sentito venire il colpo né di aver
pensato a coricarci.
Se ci si fosse lasciati guidare dal
ragionamento, si sarebbe a quest’ora un carname sparpagliato: è
stato l’altro che oscuramente vigile in noi ci ha buttati a terra e
salvati, senza che noi si sappia come. Se questo altro non fosse, da
un pezzo, fra le Fiandre ed i Vosgi, non vi sarebbero più creature
viventi.
Noi
partiamo soldati allegri o brontoloni; quando giungiamo alla zona del
fuoco siamo divenuti una razza belluina.
E il silenzio fa sì
che le immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una
enorme sconsolata malinconia. Quelle cose care furono, ma non
torneranno mai più. Sono passate, sono un mondo diverso, perduto per
sempre.
Erich
Maria Remarque: NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE
Nessun commento:
Posta un commento