martedì 14 giugno 2016
Paolo Rumiz: La leggenda dei monti naviganti
Era
lassù, a fil di mare, che cominciavano le Alpi. In un posto di nome
Vrata, lo stesso termine che i dalmati usano per indicare gli stretti
tra le isole. Salimmo a piedi, e in quei sedici chilometri – poco
più di due miglia austroungariche -, fu come passare dalla Grecia
alla Boemia.
È
qui, in Dalmazia, dove iniziano le Alpi, che Paolo Rumiz comincia un
lungo viaggio (ottomila chilometri, la stessa
distanza che c'è dall'Atlantico alla Cina)
che lo porterà, a piedi, in treno, autobus, bicicletta e poi con una
Fiat Topolino, a percorrere il grande punto interrogativo rovesciato
delle montagne italiane, fino a Melito di Porto Salvo,
contrada Lembo, il punto più meridionale della penisola.
Prima
le Alpi, alla scoperta di contrade e di popoli dimenticati,
attraversando paesi sfigurati dal turismo di massa ma anche luoghi
rimasti intatti nei quali la natura sembra ancora padrona. Rumiz
intraprende il suo periplo seguendo le orme del suo concittadino
Claudio Magris, alla ricerca di un punto di inizio che sembra un po'
evanescente, proprio come lo era stato per Magris quello del Danubio.
Tra lingue e culture diverse e nonostante tutto vicine, ritrova
ricordi della prima guerra mondiale lontani dalla retorica
nazionalista che causò morte e distruzioni, una guerra ancora
presente nella tradizione orale della gente che la subì. Va incontro
a figure emblematiche che hanno vissuto e vivono su queste montagne e
che hanno scritto su di esse pagine importanti: Mario Rigoni Stern
sull'altipiano di Asiago o anche Mario Corona, l'uomo del Vajont
che gli regala un coltellino che
sarà in seguito protagonista di
strane vicissitudini.
Quello
di Paolo Rumiz non è un trekking sportivo, né un pellegrinaggio. È
piuttosto una ricerca in immersione tra antropologia e sociologia. La
prima parte del viaggio, in bicicletta, sembra concludersi a La
Turbie, pochi chilometri sopra Montecarlo, là dove Augusto
imperatore aveva fatto erigere un monumento per celebrare la sua
vittoria sui popoli alpini.
Sembra.
Invece non finisce un bel niente. Le montagne continuano, piegano
a nord-est, diventano Alpi Liguri, poi Appennino in poche decine di
chilometri.
C'è
poi la visita ai cantieri dell'Alta velocità che (siamo nel
2006) scavano tra Emilia e Toscana frugando in un paesaggio dantesco
tra le viscere della terra. È forse qui che nasce l'idea di
continuare il viaggio verso sud. Un viaggio alla scoperta di
quell'Italia minore, lontana dall'attualità dei mass media o
della Storia ma anche vera e propria colonna vertebrale del paese.
[...]era soprattutto quel viaggio nelle fondamenta dell'Appennino
a rendere indispensabile una ricognizione in superficie: un viaggio
capillare, non programmato, su strade minori.
Rumiz
pensa ad un mezzo di locomozione che gli permetta di avvicinarsi il
più possibile a questa realtà: Dopo anni di bicicletta sapevo
che i mezzi lenti non sono solo un modo per vedere di più, ma anche
un filtro per selezionare gli incontri. Difficile che un arrogante o
un idiota si soffermi a scambiare due chiacchiere con il conducente
di un'utilitaria o di una bicicletta.
Sarà
quindi a bordo di una Topolino del 1953 (anche nel ricordo dello
scrittore svizzero Nicolas Bouvier e del suo viaggio verso l'Asia con
un'utilitaria dello stesso tipo) che affronterà l'infinito
saliscendi verso la Calabria (Settantamila metri in su e in giù,
più o meno. Sette volte l'Everest.).
Perché
non è facile andare verso sud seguendo la cresta delle montagne,
anzi è praticamente impossibile. Non ci sono vie di comunicazione
che seguono il crinale. Il viaggio di Rumiz è quindi un continuo
scavalcare passi, scendere e risalire valli, da un lato all'altro
della catena. L'utilitaria arranca, a volte sembra venir meno, ma
resiste. Una Topolino non passa inosservata, attira i curiosi,
permette incontri inattesi. Sono decine i personaggi sorprendenti, a
volte eccezionali, che popolano le pagine di questo libro. Ma Rumiz
racconta anche e soprattutto un mondo semplice che nella banalità di
ogni giornata affronta una vita a volte difficile e dura; un mondo
spesso dimenticato dai centri di potere che sono sempre lontani,
laggiù nella pianura.
È
un universo che cerca di resistere malgrado lo spopolamento che, in
ondate successive, ha privato queste regioni di risorse e di energie.
Il
lungo viaggio di Rumiz di conclude con un ritorno nel mondo della
modernità. Arrivato a Bova Marina, nell'estremo sud della
penisola: La televisione del bar dice che la guerra in Libano può
riprendere, mi notifica che per quasi un mese ho vissuto fuori dal
tempo.
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Grande bel viaggiatore Rumiz !! io sto leggendo il suo Il Ciclope. Viaggi per mare viaggi per fari. Antichi fari oramai abbandonati. Mi viene una voglia di partire accidenti !!!
RispondiEliminaHo letto questo libro tardivamente, oltre 10 anni dopo la pubblicazione. Pur riconoscendo all'autore un certo stile, forse un po' troppo da rivista patinata ma comunque scorrevole e intrigante, il contenuto non mi ha convinto molto e spesso proprio annoiato. Non sono riuscito a finirlo e spesso ho saltato intere parti di capitolo perché le trovavo infarcita di banalità. A mio parere gli spunti interessanti non mancano, alcuni sono dei veri e propri gioiellini. Però quasi sempre Rumiz finisce per volerne trarre la sua morale politica, che a distanza di tempo appare ancor più semplicistica e demagogica di quel che forse poteva sembrare ai tempi della pubblicazione. Sarebbe forse risultato un bel libro se l'autore si fosse limitato a raccontare le storie dei personaggi incontrati in maniera più realistica e neutrale. Non mi stupisco che sia piaciuto molto ad una certa classe di benpensanti che fanno riferimento alla cosiddetta sinistra intellettuale. Da parte mia lo considero un'ottima occasione mancata.
RispondiEliminaGrazie per il commento Andrea, del tutto legittimo e comprensibile. Una sola cosa mi indispone: questo riferimento (oramai estremamente diffuso e stereotipato) a una "certa" classe di "benpensanti" di una "cosiddetta" sinistra "intellettuale". Ci manca solo un accenno al "buonismo" e poi abbiamo tutti i cliché dell'attualità.
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