La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



giovedì 5 dicembre 2019

Gran Sasso d'Italia, Sella di Fontefredda

È in Abruzzo che è nata l’idea di un movimento wilderness italiano che avesse come scopo la salvaguardia dei “luoghi selvaggi” ancora presenti nella penisola.
E probabilmente non è un caso. Forse suo malgrado – la regione è stata ed è ancora un po’ snobbata dal turismo di massa – gli spazi naturali sono qui numerosi e vari. Ma già nel lontano passato questa terra era considerata come uno spazio selvaggio e inesplorato. Da sempre essa ha accolto monaci ed eremiti provenienti anche da altre regioni e che hanno trovato tra le sue montagne e le sue valli, soprattutto quelle della Majella, luoghi impervi e solitari nei quali insediarsi.
È anche vero che l’ambiente montano, e questo vale in modo più generale, rappresenta un luogo emblematico per chi cerca spazi preservati e, se non inesplorati, almeno incontaminati. Chi va in montagna lo fa spesso e soprattutto per ritrovare quel contatto diretto con la natura che altrove manca.
L’Abruzzo è una regione relativamente piccola ma ricca di aree preservate e non è un caso se molti film ambientati in tempi o continenti lontani hanno questo territorio come tela di fondo.
Il massiccio del Gran Sasso, per le sue caratteristiche geografiche e geologiche, è da questo punto di vista un luogo significativo e affascinante. Attorno all’imponente roccia del Corno Grande, spazi vari e multiformi appagano la vista. La piana di Campo Imperatore, così isolata, anche visivamente da ogni centro abitato, può riecheggiare epopee medievali o le ampie praterie americane. Certo le dimensioni non sono equivalenti e, anche adottando la definizione di “Piccolo Tibet” che Fosco Maraini trovò con successo per questo altipiano, non possiamo dimenticare che poca cosa sono i venti chilometri di lunghezza del Campo confrontati ai 2500 chilometri dell’altopiano tibetano. Ma, anche se la presenza di una strada asfaltata abbastanza comodamente percorribile, toglie al sito una parte del suo carattere “selvaggio”, per il camminatore che vi si avventura è facile provare impressioni ed emozioni di piacevole meraviglia. (vedi qui)
Qui lo “spaesamento” è sicuramente il frutto dalla sensazione di dismisura che si apprezza nel momento in cui un punto di riferimento conosciuto appare sproporzionato rispetto alla vastità dell’ambiente circostante. Questa sensazione è poi accentuata dai suoni, sorprendentemente vicini quando, portati dal vento, che contrastano con la lontananza della loro origine.
Altre zone sono meno estese e meno immediatamente evidenti ma forse proprio per questo altrettanto o forse, più suggestive. Il vallone d’Angora (o d’Angri) per esempio, con la sua vegetazione rigogliosa e la sua avifauna specifica. Di accesso non facilissimo, la forra nasconde scorci seducenti per i quali il termine “selvaggio” non è certo un luogo comune. (vedi qui)
Anche le pendici del versante sud del monte Prena attraggono per il loro carattere proprio. Qui è spazio roccioso ricco di pinnacoli, rocce in bilico e di altre sculture naturali a costituire un ambiente dolomitico, lunare. (vedi qui)
Io vorrei suggerire un luogo meno immediatamente spettacolare, forse perché meno impervio e nascosto: la sella di Fontefredda. L’ampio valico erboso si scopre salendo la costa tra i monti Tremoggia e Siella. Il sentiero che sbuca dalla pineta di Fonte Vetica, si inerpica velocemente anche con stretti tornanti, per poi allungarsi verso un ampio pratone, sul quale spesso domina il vento. Si arriva così alla sella. Per la maggior parte degli escursionisti questo è solo un passaggio, tra i due versanti della catena montuosa o, più sovente, per affrontare la salita verso il monte Camicia. Verso occidente è il grande panettone del monte Tremoggia dal lungo crinale spesso punteggiato da numerose stelle alpine, verso oriente il meno imponente monte Siella. Un ampio vallone precede l’arrivo sulla cresta. Qui il vento è più impetuoso, risale dalla costa adriatica, spazza l’erba e fischia. Occorre fermarsi più di un attimo, lasciare correre lo sguardo dall'erba più vicina fino alle creste e poi più lontano, là dove gli altri massicci montuosi della regione chiudono la vista. Ed è questo andare e venire dello sguardo, tra il concentrarsi sull'immediata vicinanza e il perdersi verso l'azzurra lontananza a riempire lo spirito.
Chiunque abbia viaggiato in luoghi selvaggi avrà provato qualcosa del genere, una fugace, cocente percezione del disinteresse del mondo. In piccole dosi entusiasma. Provata per intero annichila. (Robert Macfarlane)







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